Fusignano (Ravenna), 8 luglio 2023 – Tra casa del defunto a Fusignano, contanti e titoli, il valore di quell’asse ereditario era di quasi 200 mila euro. Tutto andato alla ex badante (una 58enne slovacca residente a Lugo difesa dall’avvocato Silvia Alvisi) e al compagno di lei (un 53enne di San Lorenzo tutelato dall’avvocato Elisa Conficconi), da ieri mattina a processo per circonvenzione aggravata. Ma la denuncia della nipote dell’uomo - una 62enne di Pianoro parte civile con l’avvocato Stefano Dalla Valle -, ha fatto finire a processo pure il notaio che si occupò del testamento: si tratta di una 48enne di Ravenna accusata di falso ideologico e difesa dall’avvocato Ermanno Cicognani.
La denuncia - come ricordato ieri mattina in aula dalla 62enne davanti al giudice Cristiano Coiro - risale al marzo 2019. La slovacca già dal 2007 "era stata assunta come colf per aiutare mio zio", cioè il fratello del padre. E dal 2010 "era diventata la sua badante". L’anziano, che già soffriva di altre patologie - "problemi alla vista e all’udito, tremore alle mani e problemi del quadro cognitivo" -, era "caduto dalle scale e si era fatto male: e così, su consiglio dei medici, si era optato per una presenza di 24 ore al giorno". Lo zio del resto viveva solo e si era isolato ulteriormente quando prima (a fine 2004) era morto il fratello e poi (ad autunno 2006) era venuta a mancare la madre.
Dal punto di vista economico, non aveva tuttavia problemi: militare in congedo, "era sempre stato un risparmiatore". La badante "aveva una delega bancaria e una di cassa, entrambe di 500 euro".
Le condizioni di salute dell’uomo, ormai ultranovantenne, erano peggiorate drasticamente nel 2017, anno in cui gli era stato diagnosticato un tumore: il 27 dicembre era deceduto. E in quel momento - come ha precisato la nipote - nessuno pensava all’esistenza di un testamento. Lui, oltre all’immobile, "aveva due conti a Fusignano sui quali c’erano più che altro titoli". La realtà sul destino del patrimonio del pensionato, era cominciata ad affiorare quando la badante "mi disse di averlo accompagnato una volta da un notaio" che non era il suo notaio. E allora "andai là subito: in segreteria mi diedero conferma". In casa però "non c’era copia del documento: cercando, trovai documenti fino a inizio del 1900 ma non quello".
Il testamento però esisteva davvero: recava la data del 13 febbraio 2017 e indicava quali eredi universali la badante e il compagno in parti uguali. Forte di una consulenza medico-legale, la nipote del defunto aveva allora deciso di rivolgersi alla magistratura. Le indagini della guardia di finanza, coordinate dal pm Marilù Gattelli, avevano scandagliato varie testimonianze approdando anche allo studio notarile dal quale il testamento era uscito.
Il punto per l’accusa, sta nelle capacità dell’anziano: era "affetto da scompenso cardiaco in involuzione cerebrale – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio –, condizione che causava uno stato di vulnerabilità particolare". Ovvero che lo portava a "prendere decisioni che in condizioni psichiche di base non avrebbe assunto". Ecco come badante e compagno sarebbero riusciti a "indurlo a redigere" il testamento. E in quanto al notaio, per il pm la sua colpa era stata quella di "avere attestato di avere ricevuto dichiarazioni di ultima volontà liberamente espresse" da chi invece "versava in uno stato di infermità" tale che "poteva essere riconosciuto da un osservatore esterno" anche senza "competenze mediche".
Per la difesa invece, un vaglio di quel tipo non era possibile: e comunque l’anziano era capace indipendentemente dalle patologie che lo affliggevano. Prossima udienza a fine settembre.