"La legge regionale del 2017 contro il consumo di suolo va riscritta". Il messaggio che Legambiente lancia ai consiglieri regionali che si insedieranno a partire dalla fine di novembre è chiaro, come specifica il direttore regionale Francesco Occhipinti, rispondendo al candidato del centrosinistra Michele de Pascale secondo cui quell’architrave legislativo avrebbe bisogno di solo alcune cesellature. "Noi non stiamo dicendo che quella legge fosse da buttare – precisa Occhipinti – era pur sempre l’unico provvedimento emesso contro il consumo di suolo. Evidenziamo piuttosto che aveva delle maglie troppo larghe". L’Emilia Romagna si conferma quarta a livello nazionale nel 2022 per incremento netto di consumo di suolo, e la provincia di Ravenna ha visto un incremento pari a 97 ettari nel 2020, 126 nel 2021 e 52 nel 2022. "Il testo va riscritto, attualizzandolo a quanto accaduto fra il maggio 2023 e oggi. Ora è tempo di pensare a come invertire la rotta, a come restituire insomma alla natura quegli spazi che servono a lei e a noi per vivere". Sì, ma dove? A questa specifica domanda una risposta esiste già, e coincide con quelle aree che per prime sono state aggredite dall’alluvione, perché poste troppo vicine alle acque, o troppo in basso, o su terreni che si sono rivelati altamente permeabili. "In quei luoghi occorre il coraggio di attuare delocalizzazioni. Nei punti in cui si è costruito sia sulla sinistra che sulla destra idrografica il fiume è stato considerato alla stregua di un tubo: il rubinetto è nelle mani del meteo, e non nelle nostre". La restituzione di un’area urbanizzata alla natura non è affatto semplice: "Ci sono stati piccoli casi di ‘decementificazione’ – prosegue Occhipinti – ma parliamo di superfici estremamente modeste, ad esempio un parcheggio che è stato trasformato in un parco. Ora siamo costretti a ragionare su una scala completamente diversa: come far tornare alveo fluviale un frammento di suolo sottratto ai fiumi? Come far tornare aree agricole delle porzioni di territorio cementificate?".
L’alluvione, paradossalmente, ha reso più fragili proprio quelle infrastrutture che servono come l’ossigeno per combattere il cambiamento climatico, e cioè le ferrovie: ogni pendolare della Faenza-Marradi o della Ravenna-Castel Bolognese costretto a scegliere il bus, o peggio ancora l’auto, ha fatalmente emesso nell’atmosfera quantità di CO2 ora già intente nel lavorio che scatenerà il prossimo fenomeno meteorologico estremo, in un diabolico meccanismo di autoalimentazione. "Per questo quelle ferrovie locali sono essenziali a tutti, non solo a chi ci viaggia. Finiamola di parlare di privatizzazione delle Ferrovie: in mano a dei privati quelle linee sarebbero spacciate, e tutti noi dovremmo avere a che fare con un’atmosfera più inquinata e con un sistema climatico ancora più fuori controllo".
Filippo Donati