Commemorazioni di Muti: "Nessun movimento d’odio dietro". In due prosciolti per rituali fascisti

Depositate le motivazioni di non luogo a procedere per il ritrovo al cimitero dell’agosto 2020

Commemorazioni di Muti: "Nessun movimento d’odio dietro". In due prosciolti per rituali fascisti

Depositate le motivazioni di non luogo a procedere per il ritrovo al cimitero dell’agosto 2020

Un saluto romano. E, per tre volte, la chiamata al rituale del ’presente’ attraverso la frase "camerata Muti". Inequivocabile insomma l’intento elogiativo "di un esponente del partito fascista". Ma a mancare era stato il collegamento tra quei gesti con movimenti o associazioni esistenti "ed espressive delle idee discriminatorie evocate dal rituale contestato". Come dire che non c’era margine per l’applicazione della Mancino, quella legge del 1993 che sanziona frasi o gesti che incitino all’odio, alla violenza, alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o politici.

Con un atto di dieci pagine, appena depositato, il giudice Antonella Guidomei ha spiegato come mai il 12 giugno scorso in udienza predibattimentale aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di due imputati accusati di avere violato il 23 agosto 2020 la legge Mancino in occasione della commemorazione organizzata sotto al cimitero monumentale per ricordare l’anniversario della morte del tenente colonnello Ettore Muti, ravennate, gerarca anomalo del partito fascista e, per un breve periodo, segretario del partito, ucciso nel 1943 in circostanze mai del tutto chiarite durante il suo arresto a Fregene.

Gli imputati erano l’84enne forlivese Domenico Morosini, patron del museo Casa dei Ricordi di Villa Carpena di Forlì (avvocato Emanuele Solari). E il 62enne faentino Mirco Santarelli, responsabile in passato degli Arditi - sezione di Ravenna: avvocato Francesco Minutillo. Proprio l’argomentazione di quest’ultimo legale è stata condivisa, "in punto di diritto", dal giudice. Nel loro complesso, circa le commemorazioni che fino a un paio di anni fa venivano organizzate nella domenica più vicina alla morte di Muti, il giudice ha sostanzialmente condiviso quanto già uscito dalla penna dei colleghi gip - questa volta su richiesta di archiviazione della procura - in merito alla Scelba, la legge del 1952 che punisce chi, partecipando a pubbliche riunioni, compia manifestazioni usuali del disciolto partito fascista o di organizzazioni naziste.

"Inequivocabile, ma anzi pacificamente ammesso - si legge nella sentenza -, la natura commemorativa con intento elogiativo di un esponente del partito fascista" le cui spoglie peraltro "non risultano più nel cimitero monumentale". Come dire che "il luogo celebrativo era meramente figurativo". Del resto "l’invocazione del ’presente’ e il saluto militare, smentiscono la valenza non politica della adunanza sostenuta dalla difesa Morosini". Tuttavia "la stessa natura della manifestazione che vedeva sparuti partecipanti, forse una cinquantina secondo la relazione della Digos, "la brevità del corteo e il saluto romano da parte di un unico partecipante", il Morosini appunto, non consentono "di intravedere quel pericolo concreto all’ordinamento costituzionale tutelato" dalla legge Scelba. Nelle motivazioni, il giudice ha anche dato atto che "nell’arco degli anni, le condotte in contestazione hanno trovato qualificazioni giuridiche non concordanti tra loro".

L’unica parte civile - ovvero Carlo Boldrini, figlio del comandante partigiano ’Bulow’, presidente della consulta provinciale antifascista e tutelato dall’avvocato Andrea Maestri -, dopo la lettura delle motivazioni, tra le altre cose citando una sentenza della Cassazione ha precisato che "non ha logica discutere sulla pericolosità di tali eventi" dato che "il pericolo è immediato perché fa riferimento a un’ideologia totalitaria classificata ’male assoluto’ che porta con sé il pericolo sin dall’inizio: e per dichiararlo non è necessario aspettare misfatti e violenze".

Andrea Colombari