
La protesta di cittadini e comitati alluvionati che si svolse in piazza del Popolo nel novembre 2024 Foto Corelli
Secondo ricorso, seconda porta sbattuta in faccia. E stavolta, per i 23 cittadini del comitato alluvionati “Noi ci siamo”, oltre al danno arriva anche la conferma della beffa: dopo il no incassato dal Tribunale delle Acque, anche la Corte d’Appello di Firenze respinge la loro richiesta. E a ognuno tocca pagare 1.780 euro di spese legali. Il gruppo di residenti, colpito dalle devastanti alluvioni del 2-3 e 16-17 maggio 2023, chiedeva la nomina di un consulente tecnico per accertare le cause dei danni subiti, puntando il dito contro Regione, Comune e Consorzio di Bonifica per cattiva manutenzione, mancata realizzazione di opere idrauliche e cementificazione selvaggia. L’obiettivo: individuare le responsabilità e avviare una possibile composizione della lite.
Ma già in primo grado il Tribunale delle Acque di Firenze aveva bocciato la richiesta, motivando il rigetto in tre punti: la consulenza tecnica non era possibile in un contesto di “forte contrasto fra le parti”; le responsabilità erano state attribuite in modo generico a più enti, cosa che richiedeva valutazioni giuridiche e non solo tecniche, cosa che avrebbe esondato le prerogative di un consulente tecnico; infine, i cittadini non avevano quantificato i danni subiti.
Contro il primo rigetto, il comitato aveva fatto appello, ribattendo punto su punto. Secondo loro, la finalità della consulenza non era quella di accertare un diritto soggettivo, ma di raccogliere elementi oggettivi e tecnici sui fatti per agevolare una soluzione conciliativa. E ancora: il giudice avrebbe potuto eventualmente escludere gli enti ritenuti non responsabili, senza rigettare l’intera istanza. Quanto alla mancata quantificazione dei danni, il comitato sosteneva che non fosse rilevante, perché non chiedevano la valutazione dei danni alle singole case, ma l’accertamento del costo delle opere necessarie a mettere in sicurezza il territorio.
Ma anche in Appello gli alluvionati sono rimasti con il cerino in mano. Il giudice ha ritenuto che la richiesta di una perizia sulle opere idrauliche e sui costi di messa in sicurezza esuli dal perimetro dell’articolo del codice di procedura civile, che regola la consulenza tecnica preventiva. Questo strumento, ha scritto la Corte, serve solo per "l’accertamento e la quantificazione di crediti derivanti dalla mancata esecuzione di obbligazioni contrattuali o da un fatto illecito". In altre parole: non spetta a un consulente stabilire che opere andrebbero fatte e quanto costerebbero, ma alle amministrazioni competenti, uniche titolate a intervenire. Così, tra tecnicismi giuridici e incomprensioni procedurali, i cittadini si trovano per la seconda volta senza risposta. E per la seconda volta devono pagare, di tasca propria, le spese legali. Formalmente, resta aperta la strada del ricorso in Cassazione, ma appare improbabile. Il muro è alto, più realistico pensare a singole cause civili di merito, altra strada lunga, costosa e in salita.
Lorenzo Priviato