L’amministrazione locale "giammai avrebbe potuto legittimamente concedere un’ulteriore proroga". Anzi, alcune delle precedenti, erano state contro la norma di settore. Discorso chiuso insomma per il Tar di Bologna: era stato giusto non dare un’altra proroga all’attività estrattiva per la realizzazione di invaso e arginature della cassa di espansione utile alla laminazione delle piene del Senio in territorio di Faenza.
Il no del dirigente dell’area Territorio della Romagna Faentina, risale al maggio 2018. Ed è di quell’atto che l’ex titolare della concessione aveva chiesto l’annullamento con conseguente risarcimento dei danni patiti per la mancata proroga dell’attività dal gennaio 2018 e per un anno. Di proroghe ce n’erano già state tre visto che l’autorizzazione per l’estrazione di terreno alluvionale (ghiaia, sabbia e argilla), era stata rilasciata nel marzo 2010 e per cinque anni. Un termine che, almeno secondo il ricorso, non poteva essere rispettato perché l’amministrazione, nonostante "ripetuti solleciti", non avrebbe provveduto alla nomina dei collaudatori e dei referenti per realizzare le opere di ripristino. Tanto che il direttore lavori dei ripristini nominato dalla società, si sarebbe dimesso "per assenza di referenti diretti". Nell’attesa, la ditta aveva comunque provveduto a picchettare l’argine del fiume nel tratto di propria competenza. Erano seguite proroghe annuali fino all’ultimo diniego con ordine di ripristino dei luoghi.
A distanza di diversi anni dalla querelle, i giudici bolognesi, pur dando atto che il documento impugnato ha "ormai esplicitato i suoi effetti", si sono comunque risolti a dirimere la questione alla luce della richiesta di risarcimento. Quindi, dopo avere analizzato uno specifico passaggio della legge regionale del 1991 che disciplina la proroga dell’autorizzazione, hanno sottolineato che ciò è possibile "solo nel caso alla data della domanda, non siano state estratte le quantità autorizzate". Per il sito faentino sul Senio, "meno della metà dei materiali previsti", almeno secondo la perizia giurata dell’esperto nominato dalla ditta. Ma in ogni caso la proroga "non può essere superiore a un anno". Ovvero per la cava manfreda, "in nessun caso la società avrebbe potuto ambire" alla proroga richiesta.
La convenzione del Comune di Faenza del 2010 stabiliva che dopo l’escavazione, quell’area venisse trasformata in invaso arginato quale recupero definitivo dal progetto del servizio tecnico di bacino della Regione. Un piano funzionale alla realizzazione di una cassa di espansione delle piene del fiume. In definitiva - ha sottolineato il collegio felsineo presieduto dal giudice Ugo Di Benedetto - la società avrebbe dovuto concludere l’attività nel 2015 con possibilità di proroghe non superiori a un anno. Nonostante ciò, aveva ottenuto le altre tre proroghe: due dal Comune e l’ultima, motivata con il perdurare della crisi dell’edilizia con calo della domanda degli inerti, era stata accolta dall’Unione della Romagna Faentina. Tuttavia la società, per garantirsi l’ulteriore affidamento di quella cava, non poteva "invocare il fatto che l’amministrazione avesse rilasciato" le precedenti proroghe. Del resto si tratta di un "divieto direttamente previsto dalla legge": e la società "era perfettamente in grado di sapere che la proroga non poteva essere rinnovata", nulla importa se le "reiterate proroghe concesse, erano "contra jus", contro la legge. Dopotutto la norma che fissa la proroga in un anno, "era stata espressamente richiamata anche nell’ultima convenzione" di estrazione sottoscritta a dicembre 2017.
In quanto al ripristino dell’area di cava, era un "obbligo assunto" e che sarebbe diventato "esigibile a prima richiesta al momento della scadenza della convenzione", cioè a gennaio 2018. E anche a "volere accedere alla tesi dell’Unione Faentina" secondo cui l’amministrazione locale al di fuori dei limiti normativi può concedere tante proroghe quanto necessarie per "tutelare l’interesse pubblico", nel nostro caso all’epoca della richiesta di quarta proroga, la società era "ben lontana dall’estrazione di tutto il materiale necessario e dalla sistemazione finale dell’area". Come dire che l’ente locale poteva avere ritenuto che un altro anno "non avrebbe comunque consentito" alla società di adempiere ai suoi obblighi.
Andrea Colombari