Carte false per avere il permesso. Consulente e commercialista tra i ventidue finiti a processo

L’inchiesta di polizia e guardia di finanza aveva svelato, tra Ravenna e Bassa Romagna, un giro di permessi di soggiorni veri, ma ottenuti grazie a presupposti fiscali e lavorativi artefatti .

Carte false per avere il permesso. Consulente e commercialista tra i ventidue finiti a processo

Lo sportello immigrati della questura di Ravenna (Foto Zani)

Il permesso di soggiorno era autentico, ma i presupposti reddituali che ne avevano garantito il rilascio erano falsi. Recentemente, il Gup Corrado Schiaretti ha accolto la richiesta della Procura di rinviare a giudizio 22 dei 23 indagati in un’inchiesta condotta congiuntamente da polizia e Guardia di Finanza, focalizzata sull’asse tra Ravenna e la Bassa Romagna.

Le accuse vanno dalla violazione della legge sull’immigrazione al falso in concorso, riguardanti sia reati tentati che consumati. Tra gli indagati figurano principalmente stranieri provenienti da Marocco, Pakistan, Tunisia, Senegal, Ghana ed Egitto, residenti in gran parte nel Lughese, ma anche a Russi, Ravenna, Cervia, Forlì e Mordano. Al vertice dell’organizzazione, secondo l’accusa, ci sarebbero stati due italiani: un consulente 58enne di Fusignano e una commercialista 69enne di Ravenna. I loro servizi professionali a pagamento avrebbero consentito agli stranieri di ingannare le autorità competenti, come Questura e Prefettura, sui permessi di soggiorno.

Le indagini, che coprono il periodo dal 2017 al 2021, hanno rivelato che i due italiani utilizzavano le loro competenze per facilitare la falsificazione dei requisiti richiesti. Il consulente, secondo la Procura, si occupava della preparazione e presentazione delle dichiarazioni fiscali all’Agenzia delle Entrate, mentre la commercialista redigeva bilanci e risultati di esercizio per ditte individuali intestate a stranieri, ora indagati. Queste ditte erano utilizzate per richiedere permessi di soggiorno, spesso per ricongiungimento familiare o per lavoro subordinato, ma le dichiarazioni fiscali e i bilanci erano falsificati, non rispecchiando la realtà economica delle ditte.

Il reato si perfezionava quando le domande, corredate di documentazione falsa, venivano trasmesse telematicamente allo sportello unico per l’immigrazione presso la Prefettura di Ravenna. Documenti come buste paga false erano utilizzati per dimostrare l’esistenza di un lavoro subordinato, necessario per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.

L’indagine ha identificato circa venti casi simili. Tra i difensori, Giancarlo Ragazzini rappresenta il consulente e Andrea Assogna la commercialista, mentre per gli stranieri sono coinvolti gli avvocati Nicola Laghi, Massimo Martini, Nicola Casadio, Jessica Bandini, Maddalena Introna, Sara Scarpellini, Raffaella Salsano, Davide Baiocchi, Paolo Giorgi, Giovanni Baracca, Francesca Miccoli, Federica Montanari e Andrea Strocchi.

l. p.