
In città si voterà il 25 e 26 maggio, con eventuale ballottaggio l’8 e 9 giugno
Essere il sindaco di Ravenna significa non solo essere alla guida del secondo comune più vasto d’Italia, ma anche rappresentare comunità che hanno alle spalle mille o duemila anni, e che nel Novecento hanno seguito traiettorie di sviluppo – industriale, turistico, agricolo – divergenti le une rispetto alle altre.
Le richieste che raccoglieranno dai territori i candidati alla poltrona più alta di Palazzo Merlato – finora cinque Alessandro Barattoni per il centrosinistra, Nicola Grandi per Fratelli d’Italia, Forza Italia e Viva Ravenna, Alvaro Ancisi per Lista per Ravenna, Lega e Popolo della Famiglia, Marisa Iannucci per Potere al Popolo e Ravenna in Comune e Veronica Verlicchi della lista civica La Pigna, nomi ai quali andrà aggiunto quello del candidato della Democrazia Cristiana – sono della natura più varia, a riprova della natura di Ravenna quale città che è la somma di varie città e abitati.
Le due che per prime, duemila anni fa, sono comparse sulle mappe dei romani – l’area urbana di Ravenna e la frazione di Classe – hanno già messo in chiaro le loro priorità ai candidati sindaci.
Gli abitanti di Ravenna chiedono innanzitutto misure incisive contro la crisi inflattiva: i prezzi dei generi alimentari e le difficoltà nel trovare casa stanno mettendo in discussione due dei principali cromosomi del dna della città, e cioè il suo essere a misura di lavoratore, la sua capacità di attirare e rapidamente inglobare nuove comunità che pompino watt e volt nella sua economia – un secolo fa i braccianti delle campagne romagnole, poi quelli in arrivo dalla Puglia e dalla Campania, e oggi i giovanissimi che approdano qui dall’Africa, dall’Oriente o dall’America latina. Oggi trasferirsi a Ravenna è diventato complicato, tanto da spingere molti a chiedersi se il boom turistico del centro storico abbia davvero portato vantaggi.
Poco oltre le mura del centro, a Classe, il tema più dibattuto è, come a Savio e in tutti i centri popolati da pendolari, quello della ferrovia Castel Bolognese-Ravenna-Rimini, drammaticamente a binario unico, il cui raddoppio è lontano dal vedere la luce: l’incontro fra il presidente della Regione Michele de Pascale e il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini ha dato luce verde ai lavori al porto, ma non a quelli alla ferrovia, rimasta in attesa di finanziamenti, con tutto quel che ne consegue sulle vite di chi prende il treno ogni giorno. La stessa riunione romana ha lasciato l’amaro in bocca a chi vive in quella porzione del territorio comunale attraversato dalla disastrata strada statale 67: San Pietro in Campiano e Filetto con le loro pievi millenarie, Ghibullo e Longana, Coccolia e Roncalceci rimangono in attesa di quel maxi-intervento di rifacimento necessario per evitare che quegli abitati finiscano lentamente isolati.
Il tema del forese si intreccia a quello dei trasporti pubblici, sul quale non a caso il centrosinistra ha proposto una rivoluzione copernicana fatta di bus gratuiti che solchino il territorio a raggiera in direzione delle porte del centro storico; è ancora il forese il luogo in cui la richiesta di trasporti pubblici migliori è più forte, in particolare in due punti cardinali: le direttrici verso nord che conducono a Camerlona e Mezzano, e a San Romualdo, Sant’Alberto e Mandriole, e quella in direzione sud che dalla città porta a Madonna dell’Albero e alle frazioni nelle campagne al confine col territorio cesenate.
Filippo Donati