Sono poco meno di quattromila gli appartamenti ad uso turistico a Ravenna: sulla carta mille in più rispetto a dieci anni fa, quando ammontavano ad appena tremila. A loro si aggiungono quasi duecento bed&breakfast – erano 176 nel 2014 – una trentina di residenze turistiche autorizzate (rimaste stabili) e sessantotto room&breakfast, quasi triplicati rispetto ai soli 27 di un decennio or sono. È in queste cifre che si legge più che altrove la mutazione genetica cui è andata incontro Ravenna in un decennio che l’ha vista protagonista di un boom turistico prima difficilmente immaginabile. Cominciò tutto ormai quindici anni fa, poco prima dello scoccare del 2010: è allora, con la candidatura a Capitale europea della cultura, che inizia per la città un processo di mutazione genetica, destinato a fare di quello che nel Novecento aveva fama di polo industriale – così la ritrae Antonioni nel suo ‘Deserto rosso’ – una delle mete turistiche oggetto di riscoperta.
La vera svolta arriva intorno al 2017, alimentata dall’attesa per l’anno dantesco e poi per quella rivolta all’inaugurazione del museo dedicato a Lord Byron, in una rincorsa di ministri e ospiti internazionali piombati a Ravenna: è allora che le 465mila presenze del 2014 si dilatano fino a diventare 511mila nel 2019, e poi ancora 551mila nel 2022, dopo la parentesi Covid, fino al vertice massimo di 610mila nel 2023. È finita? No: il nuovo volo diretto Rimini-Londra è destinato probabilmente a portare qui nuovi flussi di visitatori britannici, come scriviamo nella pagina a fianco. Ma la nuova veste di ‘città turistica’ non è la sola modifica genetica intervenuta nell’organismo della duomillenaria capitale romana: già sede periferica dell’Università di Bologna, negli ultimi anni allarga i suoi orizzonti, consapevole del ‘ruolo che le spetta’ come polo regionale degli studi sul mare in evoluzione, e quale baricentro, a livello financo nazionale, per la conservazione dei beni culturali in uno scenario ambientale a rischio.
La rivoluzione copernicana si compie con l’approdo del corso di Medicina, che fa piovere qui studenti da tutta Italia, abbassando l’età anagrafica e portando in Romagna, auspicabilmente, nuove generazioni di medici e chirurghi. Travolta da quei due torrenti umani arrivati a solcare la città – gli studenti e i turisti – e dalla doppia ‘grandeur’ che portano con sé, Ravenna non ha tempo di rendersi conto che non esistono luoghi che possano ospitarli, o come minimo che non ce ne sono abbastanza: dal 2010 l’offerta di hotel in città si è paradossalmente contratta, seppur di poco, spiegano da Palazzo Merlato (mentre cresce invece la quota di italiani che, spinti dalla crisi inflattiva, optano per il b&b anziché per gli alberghi), mentre le strutture dedicate agli studenti sono tuttora una goccia nel mare: "Parliamo di appena cinquantacinque posti letto in due sedi, di cui una inaugurata solo poco più di un mese fa, a fronte di ormai quattromila iscritti ai corsi, sempre più provenienti dal centrosud o dall’estero”", fa notare Arianna Castronovo per il Sig, il Sindacato Indipendente di Giurisprudenza, unica rappresentanza degli studenti ravennati. Nulla di che meravigliarsi davanti ai tempi necessari a uno studente per trovare un posto letto: "Circa un mese, per quanto possiamo constatare".