REDAZIONE RAVENNA

"Bernini la chiave per capire il mondo di oggi"

Marco Martinelli presenta il suo nuovo spettacolo, da stasera fino al 15 dicembre al Rasi: "È un lavoro sul rapporto fra arte e potere"

Guardare al 1600 per parlare di contemporaneità, del rapporto tra intellettuali e potere, del ruolo della donna, di lavoro e diritti. Sono alcuni dei temi affrontati in ’Lettere a Bernini’, l’ultimo lavoro di Marco Martinelli, ideato insieme a Ermanna Montanari, che stasera debutta al teatro Rasi, con protagonista unico l’attore Marco Cacciola. Repliche fino al 15 (0544-30227).

Martinelli di chi sono le lettere a Bernini di cui parla il titolo?

"Di Francesca Bresciani, intagliatrice di lapislazzuli che lavorò per Bernini nella Fabbrica di San Pietro. È una vicenda documentata, lei lo accusò pubblicamente di non voler pagare il prezzo che avevano pattuito per il suo lavoro".

Come si è imbattuto in questa storia?

"Leggendo un libro molto bello di Simona Turriziani e Assunta Di Sante, due studiose che si occupano dell’archivio della fabbrica di San Pietro. Un archivio documentato a partire dal primo giorno del cantiere. ’Le donne nel cantiere di San Pietro in Vaticano’, è questo il titolo del libro, e all’interno si racconta anche la storia di Bresciani".

Alla fine chi la spunta?

"Francesca Bresciani, a forza di inviare suppliche e lettere ai cardinali, la spunta e Bernini cede. Il grande Bernini, dittatore artistico della Roma dell’epoca, alla fine le paga, giustamente, la somma stabilita. Non era semplice per le donne all’epoca, ad esempio non potevano scoprire il collo e le braccia per questioni di pudore, eppure il libro ci dimostra quanto sapessero farsi valere. Non è nello spettacolo, ma Bernini due anni dopo richiamò Francesca Bresciani a lavorare per lui, doveva essere molto brava".

Lo spettacolo parla di arte e potere, di rivendicazioni lavorative, di politiche di genere. Forse non immaginava fino a che punto potessero essere attuali i temi trattati.

"Di questo viaggio nel Seicento mi ha affascinato quanto certi nodi di fondo si ripropongano. Nonostante tutto ciò che sembra aver cambiato il nostro mondo, ci sono ferite che permangono, sono le grandi domande che mi sono fatto in questi anni e che formano il tessuto di questa drammaturgia. È un invito a porsi ancora queste domande e a non dare risposte facili".

Il suo lavoro parte da Bernini, ma non può fare a meno di guardare al grande rivale, Borromini.

"Infatti tutto si svolge in una giornata che inizia con le lettere di Francesca Bresciani, ma si conclude con la notizia della morte di Borromini".

Perché?

"In realtà ero partito da una fascinazione assoluta per Borromini, poi Bernini, da prepotente quale era, da gigante, si è fatto strada. Ha deciso che voleva lui il palcoscenico. Bernini era anche un teatrante. Ai suoi allievi diceva: ’Se volete imparare a scolpire dovete imparare a recitare: i sentimenti dovete sentirli nella carne, nella voce, prima di riuscire a tirarli fuori dal marmo. Su Borromini sto elaborando un altro progetto, per il futuro".

Perché la scelta del protagonista, l’attore Marco Cacciola?

"Ha a che fare anche con la scelta linguistica. Bernini era di padre toscano che emigra a Napoli e sposa una donna napoletana. Le sue lingue erano l’italiano e il napoletano, in teatro soprattutto napoletano. Avevo bisogno di un attore che le parlasse entrambe. Cacciola, che paradossalmente non è napoletano, lo parla meglio dei napoletani stessi, sono loro a dirlo"

Annamaria Corrado