’Balla’, fino a che ora si sarebbe potuto salvare?

Nell’appello bis nuova perizia incentrata sul decesso del giovane studente morto per overdose e lasciato solo in auto dai suoi quattro amici.

’Balla’, fino a che ora  si sarebbe potuto salvare?

’Balla’, fino a che ora si sarebbe potuto salvare?

Carte alla mano, il medico legale dovrà stabilire fino a che ora il giovane si sarebbe potuto salvare allertando i soccorsi. La corte d’assise d’appello di Bologna, su indicazione dei colleghi della Cassazione, ieri ha deciso di procedere attraverso una perizia per dissipare ogni dubbio residuo circa la morte di Matteo ‘Balla’ Ballardini, lo studente 19enne deceduto per overdose dopo 13 ore di agonia il 12 aprile 2017 a Lugo nella sua auto appositamente lasciata in un parcheggio fuori mano dai quattro giovani assieme a lui la notte precedente. L’incarico verrà conferito a inizio marzo al dottor Alberto Furlanetto. Quindi a metà aprile le parti si ritroveranno in aula per confrontarsi sulle conclusioni raggiunge dall’esperto. La sentenza è attesa qualche giorno dopo. In aula erano presenti i genitori del ragazzo, tutelati dall’avvocato Alberto Padovani. Mentre non c’era nessuno dei quattro imputati per i quali erano presenti i difensori, ovvero gli avvocati Nicola Laghi, Carlo Benini e Fabrizio Capucci. Il procedimento ha finora conosciuto fasi alterne. In primo grado la vicenda, al termine del rito abbreviato, era stata inquadrata dal gup di Ravenna nel solco del dolo eventuale con condanne comprese tra i 15 anni 4 mesi e i 9 anni 4 mesi. In appello, per effetto di un diverso inquadramento giuridico dei fatti che aveva escluso il dolo, i quattro imputati si erano visti ridurre sensibilmente le pene (alla fine comprese tra 4 anni 10 mesi e 8 mesi).

A quel punto la sentenza era stata impugnata dal sostituto procuratore generale di Bologna Valter Giovannini. E il 14 giugno scorso gli Ermellini avevano deciso di rimandare tutto indietro. In particolare nelle motivazioni depositate a metà dicembre, i giudici romani avevano sottolineato che la cessione di metadone aveva messo in “pericolo concreto il diritto alla salute” del giovane. Una situazione che era “stata percepita dai presenti in modo inequivocabile” alla luce del manifestarsi di un “prolungato stato di coma o di intenso torpore”. Tra le altre cose, per la Suprema Corte non si poteva parlare di “mera accettazione del rischio”, ma occorreva guardare “alla volontà intesa come accettazione dell’evento”. Ed è quello che ora dovranno fare i giudici dell’appello bis. I magistrati capitolini avevano rilevato un “errore di metodo commesso dai giudici di secondo grado” a Bologna dato che nella loro sentenza avevano diviso “la condotta degli imputati prima e dopo le 3.47 dando per inesorabilmente destinata alla morte la vittima dopo tale orario”. Ed è proprio questo il punto che la perizia mira a scandagliare. Perché dietro a quell’orario vi era – sempre secondo la Cassazione - un “ragionamento probatorio basato su considerazioni meramente possibili, presentate in modo inadeguato come risultato di un ragionamento scientifico”. E invece “gli accertamenti medico-legali non consentivano un giudizio in questi termini”. Ne consegue che “la qualificazione della condotta” dei quattro imputati, era stata “viziata da un presupposto connotato di certezza in realtà inconsistente”. Per gli Ermellini, i giudici felsinei avevano inoltre omesso di valutare complessivamente la “condotta della gestione dello stato di incoscienza di Ballarini”, in overdose per ore a causa del metadone e annichilito dalla mirtazapina (farmaco antidepressivo) ceduti dall’unica ragazza del gruppo. Il tutto era avvenuto “senza chiamare i soccorsi, come era doveroso, e con condotte volte ad allontanare la possibilità che la madre e i terzi potessero intervenire per salvarlo”.

Andrea Colombari