"Perché, dal novembre 2016 al marzo 2017 ha prescritto il metadone a Beatrice M. senza mai sottoporla agli esami tossicologici?", le domanda il Pm Marilù Gattelli. "La ritenevo una paziente non particolarmente problematica, avevo valutato un miglioramento. Come? Dai contatti con lei, di persona, e con la zia, al telefono", risponde la dottoressa del Sert. Il processo è quello per il metadone che il 12 aprile 2017 ha provocato una overdose fatale al 19enne Matteo Ballardini, abbandonato esanime in auto dagli amici che avevano passato con lui l’ultima notte di follia e già condannati a pene tra 9 e 15 anni (Cassazione a gennaio). Imputati, davanti al tribunale collegiale (giudici Cecilia Calandra presidente, Antonella Guidomei e Andrea Chibelli a latere), sono la 25enne Beatrice M., accusata di aver ceduto all’amico la dose fatale; la zia 69enne, Cosetta M., ex responsabile a Imola in ambito infermieristico; l’ex medico del Sert di Ravenna, Monica V., 65 anni. Nell’ordine sono difesi dagli avvocati Fabrizio Capucci, Sandra Vannucci e Alessandra Marinelli. Per l’accusa la giovane, che affrontava un problema di tossicodipendenza, avrebbe goduto di una sorte di corsia preferenziale, segnata da vaghi controlli e dall’intermediazione della zia.
Per chiarire le modalità con cui il Sert la seguiva, ieri il Pm Gattelli ha duramente incalzato la dottoressa, che oggi esercita in libera professione. In aula il medico ha definito "non raro" il fatto che una paziente, per un periodo di mesi, non fosse sottoposta a esami tossicologici pure ricevendo dosi di metadone. Anche perché, oltre a valutarla inizialmente non problematica, in precedenza ne aveva "apprezzato i progressi" dato che nelle urine aveva trovato "metadone e non più l’eroina".
Riguardo ai colloqui, il fatto di avere annotato sulla cartella clinica solo le telefonate con la zia e non gli incontri personali con la paziente (ha parlato di almeno quattro), lo addebita al fatto che "a volte ci si dimentica di annotare alcune prestazioni" in quanto "la routine del lavoro è molto incalzante". Altro elemento contestato dalla Procura, la segretezza, che portava a catalogare i pazienti solo con le iniziali: quelle dell’imputata 25enne erano presenti sulla fialetta trovata nell’auto col cadavere di Ballardini. Un paziente, Beatrice M., definito "super segreto", al punto che gli altri colleghi del Sert non ne sapevano nulla, almeno fino all’inchiesta sulla morte di ’Balla’. "Fu lei a chiedermi la segretezza, che peraltro era una prassi, perché ha i genitori che lavorano nella sanità – ha spiegato il medico imputato, che risponde di falso in atto pubblico –, inoltre non voleva essere seguita dal Sert di Lugo dove c’erano gli amici perché cercava di isolarsi da quel gruppo". Eppure, secondo l’accusa, il metadone che riceveva (unitamente a psicofarmaci), talvolta con sovra dosaggio rispetto a quello prescritto, continuava a spacciarlo, fino alla dose fatale ceduta all’amico ’Balla’. Morto il quale, cambiò tanto. Anzitutto, ravvedendosi, la dottoressa per la paziente ’super segreta’, che riteneva in miglioramento e invece "manifestava un disturbo con aspetti depressivi", consigliò "un ricovero a Villa Azzurra".
E cambiarono al Sert di Ravenna diverse procedure. Qui l’imputata punta il dito sulla ex responsabile: "Contrariamente a quanto sosteneva in precedenza, disse che ora bisognava scoraggiare l’anonimato e fare i piani terapeutici che non si facevano più dal 2015". Se la dottoressa imputata ha parlato di diversi incontri con la paziente, la zia ha invece motivato il fatto che andasse lei a prendere il metadone al Sert di Ravenna, ricevendolo "sempre dalle infermiere", in quanto la nipote "era impossibilitata a muoversi" in ragione delle sue precarie condizioni psicofisiche. Il Pm obietta: la sera non usciva con gli amici? "Era in lite con quel gruppo – spiega la zia –, già molto tempo prima che Ballardini morisse".
Lorenzo Priviato