REDAZIONE RAVENNA

Amianto, militare morto di cancro. Il Ministero dovrà risarcire i familiari

Il Tar ha dato ragione agli eredi di un carabiniere che aveva lavorato all’aeroporto di Cervia e all’Ocra di Forlì

Il Tar ha dato ragione agli eredi di un carabiniere che aveva lavorato all’aeroporto di Cervia e all’Ocra di Forlì

Il Tar ha dato ragione agli eredi di un carabiniere che aveva lavorato all’aeroporto di Cervia e all’Ocra di Forlì

Era morto a 49 anni, esattamente 685 giorni dopo avere ricevuto una diagnosi di carcinoma polmonare. Una malattia professionale - secondo il Tar - maturata in uno degli anni della trentennale carriera in cui l’uomo - un carabiniere deceduto nel luglio del 1981 - aveva prestato servizio in ambienti potenzialmente contaminati da polveri di fibre di amianto: vedi Stazione carabinieri aeroporto di Cervia, posto fisso 2° Ocra di Forlì (si trattava di officine meccaniche). E poi ancora porto di Civitavecchia e aeroporto di Ciampino. Uguale a condanna del ministero della Difesa a risarcire gli eredi (la vedova e i figli) con circa 247 mila euro, detratto quanto eventualmente già riconosciuto come indennizzo. Il ministero dovrà pagare inoltre 5.363 euro di spese processuali.

La questione era stata sollevata nel 2021 dagli eredi del defunto tutelati dall’avvocato Ezio Bonanni. Nel ricorso presentato al Tar del Lazio, si chiedevano i danni patrimoniali e non per un totale di poco più di 2,4 milioni di euro in ragione della morte del militare per "causa di servizio" legata a "negligenza e imperizia" del ministero della Difesa/Arma dei Carabinieri. All’indice in particolare c’erano finite le fibre di amianto alle quali il 49enne, secondo il ricorso, era stato esposto durante il suo servizio. Nel dettaglio tra il giugno 1955 e il marzo 1957 al porto di Civitavecchia; tra il luglio 1969 al settembre 1970 aeroporto di Cervia e Ocra di Forlì; e quindi fino all’ottobre 1975 all’aeroporto di Ciampino. Perché è in special modo in porti e aeroporti che vi era una "elevata aerodispersione" di "polveri e fibre d’amianto", materiale che veniva usato "nei ceppi freni". E poi il militare era costretto "a lavorare in ambienti angusti" con "amianto spruzzato sulle pareti per evitare rischio incendi". Ad aggravare il quadro, il fatto che non vi fossero "strumenti di prevenzione tecnica e protezione individuale" come "maschere respiratorie con grado di protezione P3". Oltre a tali strumenti, il ministero avrebbe omesso di fornire le informazioni circa il rischio da amianto e la conseguente sorveglianza sanitaria: un comportamento che avrebbe quanto meno anticipato l’insorgenza del tumore e il decesso del 49enne. Le prime misure di sicurezza in favore dei militari sarebbero infatti state adottate solo nel 2000 sebbene la pericolosità dell’amianto fosse nota dagli inizi del ’900.

La situazione si era manifestata nella sua gravità quando, in seguito ad esame radiologico del 4 settembre 1979, al carabiniere era stato diagnosticato un tumore alla laringe. Il 15 settembre successivo l’uomo era stato sottoposto a un primo ricovero per un intervento in seguito al quale erano emerse metastasi. Il calvario del militare era passato attraverso un esame isto-patologico del 25 settembre dal quale era emersa una "massiva proliferazione" del carcinoma. Il decesso era arrivato il 19 di luglio di due anni dopo.

Secondo la corte capitolina presieduta dal giudice Giovanni Iannini, "il ricorso è fondato". Ovvero applicando il quadro normativo - si legge nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi -, deve "ritenersi sussistente la responsabilità del ministero per la patologia tumorale che ha colpito" il 49enne "determinandone il decesso". Come dire che "deve ritenersi provata l’esposizione professionale all’amianto del militare durante il servizio prestato". Del resto la patologia era stata "espressamente riconosciuta dalla commissione medica ospedaliera di Roma come ’causa di servizio’". In quanto alla somma liquidata, sono state applicate le tabelle del tribunale di Milano.

Andrea Colombari