Amianto e risarcimenti: "Quella di Inail è stata una battaglia lunga dieci anni di processi"

La soddisfazione dell’avvocato dell’istituto per la sentenza. Sono stati riconosciuti quasi 7 milioni di euro per gli indennizzi. erogati a 24 lavoratori del petrolchimico perlopiù morti di mesotelioma.

Amianto e risarcimenti: "Quella di Inail è stata una battaglia lunga dieci anni di processi"

Un’immagine d’epoca dell’Enichem al petrolchimico

Le storie dei lavoratori del petrolchimico morti a causa dell’esposizione all’amianto, Inail le conosceva una a una. Faldoni che via via si erano ingrossati assieme ai lutti. Tanto che da oltre 10 anni l’istituto portava avanti in tutte le sedi le richieste di restituzione degli indennizzi erogati. Ora il giudice del lavoro Dario Bernardi, con una sentenza della quale si parlerà a lungo perché vi si dichiara come "accertata la responsabilità del datore di lavoro", ha condannato Eni Rewind spa (già Syndal Attività Diversificate spa) a pagare a Inail quasi 7 milioni di euro, compresi gli interessi legali, per gli indennizzi relativi a 24 lavoratori perlopiù morti di mesotelioma.

"E pensare che nel penale la difesa degli imputati aveva persino ventilato la possibilità che Inail - ha ricordato l’avvocato Gianluca Mancini, l’autore del ricorso per azione di regresso - avesse quasi regalato i soldi ai lavoratori riconoscendo cioè valenza di mesotelioma ad altre rarissime e differenti patologie con metastasi ". Un ragionamento che secondo il legale ravennate "ignorava ogni considerazione epidemiologica: quasi tutti i casi erano concentrati nella centrale termoelettrica della Frene...".

Nei numeri, Mancini ha ricordato che il suo ricorso comprendeva 74 casi di lavoratori malati causa inalazione di amianto: ovvero quasi tutti i 78 casi inquadrati quali parti offese al momento della chiusura del fascicolo penale dell’allora pm ravennate Roberto Ceroni. Il periodo inquadrato dalla magistratura requirente, andava dagli anni ’60 fino al 2012. E dopo la dichiarata prescrizione per 32 casi in udienza preliminare, per gli altri il fronte penale nel 2021 s’era chiuso in via definitiva con una raffica di assoluzioni pronunciate con una formula (’per non avere commesso il fatto’) che però lasciava margine a eventuali azioni civilistiche come quella di Inail appunto.

"Le questioni di diritto oggetto del contendere erano davvero molte e molto complesse - ha proseguito Mancini -: ne bis in idem, prescrizione e decadenza, prova del nesso causale, dose killer - teoria multifattoriale della nocività della inalazione di fibre di amianto, prova del danno civilistico e altro ancora". Ed è in questo solco che nel maggio 2023 si era inserito il ricorso al giudice del Lavoro "concordato con l’avvocato coordinatore regionale di Inail, Giuseppe Carlà, e con l’avvocato referente a livello nazionale del settore responsabilità civile, Andrea Rossi". Punto cardine della condanna di Eni Rewind, si è rivelato essere quello stesso penale che sembrava, a una prima lettura approssimativa, pietra tombale per la questione petrolchimico e malattie professionali. E invece dalle carte era emersa "la presenza di enormi quantità di amianto nel luogo di lavoro", come peraltro "risultante anche dai piani per Ausl di smaltimento amianto". Così pure "la mancanza di idonee misure di protezione dei lavoratori e l’esposizione continua a inalazione di fibre di amianto". Questi i principali motivi, secondo Mancini, che hanno spinto il giudice a riconoscere "il nesso causale tra attività lavorativa e malattie professionali inquadrate come tali da Inail". E se anche il penale si era concluso con un nulla di fatto, "è un po’ come per un padre di famiglia: se non è possibile accertare quale dei suoi figli abbia commesso un danno, a livello risarcimenti c’è la sua responsabilità oggettiva".