Tra le vittime illustri delle alluvioni ci sono stati indubbiamente loro, i libri. Quelli scolastici accompagnati magari dai quaderni non solo dell’anno scolastico in corso ma anche dei figli quando frequentavano le elementari, ricordi che erano finiti in cantina e che non è stato più possibile sfogliarli per l’ultima volta prima di finire nella ‘mucchia’ delle 50 tonnellate nel parcheggio del centro delle Perle. Tra i libri ovviamente quelli letti, acquistati, magari con sacrifici, e non più salvati. Tantissimi libri, carta irrecuperabile, sulla quale ci si è formati oppure si è sognato grazie alle parole che contenevano. Un patrimonio, quello cartaceo, irrecuperabile. Tanti gli alluvionati che nei giorni successivi al 3 e al 16 maggio hanno fatto delle cataste di libri da gettare al macero. Tra questi anche lo scrittore casolano d’origine ma faentino d’adozione Cristiano Cavina, grande amante dei libri, che lo hanno portato a lasciare il lavoro da pizzaiolo per dedicarsi interamente alla scrittura. Proprio Cavina ha recentemente pubblicato un post sulla sua pagina social che ben fa capire lo scoramento e l’impotenza di fronte alle quali si è trovato, non avendo potuto salvare i suoi libri. Spesso ci si interroga su cosa uno scrittore legga e su quali libri si formi. Cavina nelle sue poche righe lo racconta, un racconto della forza dell’acqua e dell’impotenza.
"Ci ho provato a salvarli tutti, ma anche ad asciugarli sono marciti, hanno fatto la muffa, con quell’odore che per metà sa di foglie morte e metà di caverna. Ci ho provato e ho fallito. Quando li mettevo nei sacchi non ci guardavo, perché mi sembrava che facesse un po’ meno male. Ma bastava uno spicchio di copertina, un mezzo titolo, e mi veniva in mente quando li avevo comprati, quando li avevo letti: dov’ero quando li leggevo. Non avrei dovuto fare la foto, ma mi sembrava giusto rivederli, prima di dirgli addio. ’Lasciarsi andare’ di Roth mi ricordo la battaglia contro il sonno quando cercavo di superare le prime pagine, per ’Black Jesus’ ero ’ingasato’ perché giocavamo a basket nel campetto della palestra di Casola come fosse Rucker Park a New York. Il dorso di ’Pebbacco o Devimorire’ del leggendario Ferrentino, mio insegnante alla Holden, che ci avevamo fatto il ’Testamento Bukowsky’ per Radio Tre, i due cesenati che andavano a trafugare la salma di Bukowsky dal cimitero per seppellirla all’ippodromo. Dostoevsky che mi ci davo un tono per fare il fenomeno all’Itis ma tanto non mi cagava nessuno. Mi dispiace così tanto. E mi dispiace che mi dispiaccia, perché mi sembra di fare un torto a chi ha perso tutto. Incredibili i capillari che ci tengono legati alle piccole cose che è come non esistessero quando tutto va bene e che bruciano da morire quando le perdi. Spero di non dover mai più buttare via libri, perché se dovesse ricapitare, mi butteró via anche io con loro".