PAOLO CASADIO
Cronaca

A scuola insegnavano applicazioni tecniche. Anche oggi sarebbe utile

Amavo molto quelle tre ore di Applicazioni Tecniche. Era il momento in cui la scuola perdeva le sue connotazioni teoriche...

Amavo molto quelle tre ore di Applicazioni Tecniche. Era il momento in cui la scuola perdeva le sue connotazioni teoriche e nozionistiche per scendere nel pratico. Per carità, niente di eccezionale: i maschi facevano piccoli progetti che poi realizzavano in laboratorio con il traforo e il compensato, oppure eseguivano gli esperimenti studiati durante le ore di scienze e molto altro ancora. Alle femmine andava molto peggio con il ricamo, l’uncinetto e il punto croce. Non sapevo d’appartenere alle prime generazioni che usufruivano di questo privilegio manuale: le applicazioni tecniche erano infatti nate nel 1963, con la riforma che istituì le scuole medie del governo monocolore DC presieduto da Amintore Fanfani; il ministro della pubblica istruzione, Luigi Gui, firmò la legge 1859/62 i cui programmi furono emanati con il DM del 24 aprile 1963. Detto questo, ricordo bene d’aver costruito una sorta di torre Eiffel a traforo, un doppio portapenne su base lignea utilizzando una porzione di tubo plastico rivestito di finto legno, una piccola radio galenica funzionante.

Forte era l’orgoglio nel portare a casa questi piccoli oggetti, che affermavano l’esistenza di una manualità e insomma, testimoniavano che qualche qualità l’avevi. Nel periodo pasquale erano d’obbligo le “öv ‘d Pascva”: nient’altro che uova sode decorate – probabilmente a tempera o acquerello – con fiori e motivi floreali Ovviamente le uova doveva approvvigionarle lo studente con l’aiuto di mamma, poiché traforo sì ma cucina no e l’uovo sodo non si sapeva come farlo. Anche qui, però, l’orgoglio di portare a casa le uova variopinte (spesso male), destinate a far bella figura a centro tavola e mostrate a ospiti e parenti come prova della nostra bravura. Nessuno però ne conosceva la storia popolare, come nessuno ci giocava alla rózla semplicemente perché questa poverissima tradizione ludica s’era persa. Oggi, mi dicono che anche le applicazioni tecniche si sono perse: la ministra Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti le ha abolite nel 2004, sostituendole con “tecnologia”, di fatto un’ora di teoria spesso pure fumosa. Così arriviamo al paradosso di avere nativi digitali che si muovono abilmente tra app e funzionalità annesse, ma non possiedono le cognizioni di base per cambiare una comune lampadina, verniciare una finestra, montare un lampadario o compiere operazioni semplici. Figurarsi le “öv ‘d Pascva”.