Ravenna, 1 aprile 2011 - Ha scontato diciotto dei trent’anni di reclusione cui lo condannò la Corte d’Assise di Ravenna il 4 marzo del 1993 per aver ucciso la moglie : grazie ai benefici penitenziari, nel 2007 aveva goduto della semilibertà, fuori dal carcere alle 7 del mattino, lavoro durante la giornata e rientro alle 21.
Ma se l’è giocata, quella ‘mezza’ libertà conquistata, per una guida in stato di ebbrezza (da cui, difeso dall’avvocato Carlo Benini, è stato peraltro assolto) e così per Angelo Missiroli, lughese oggi 56enne, le porte del carcere — di Modena — si sono tornate a chiudere per ventiquattro ore al giorno.
Il giudice di sorveglianza ha infatti ritenuto Missiroli non meritevole dei benefici sulla base della relazione presentata dai carabinieri dopo l’episodio della guida in stato di ebbrezza e da cui emergono comportamenti di Missiroli in violazione delle regole che un detenuto in semilibertà deve osservare.
L’episodio ‘galeotto’ è del settembre 2009 quando l’auto di Missiroli andò a sbattere violentemente contro il cancello della casa dei familiari della sua seconda moglie, in un piccolo centro fra Modena e Bologna. Quando i carabinieri giunsero sul posto, Missiroli era fuori dall’auto e, in base all’alito e al comportamento, fu ritenuto in stato di ebbrezza e indagato. Ma non c’era prova alcuna — come ha sottolineato l’avvocato Benini in tribunale a Modena pochi giorni fa — che alla guida dell’auto ci fosse proprio lui e di qui è scattata l’assoluzione.
«A VOLTE RITORNANO» a voler prendere in prestito il titolo del film horror tratto dal romanzo di Stephen King: Angelo Missiroli in carcere (da Ravenna, una volta diventata definitiva la sentenza, venne trasferito a Modena) ha studiato informatica e si è sempre comportato correttamente tanto che allo scadere della metà della pena ha potuto beneficiare della semilibertà e degli ’sconti’ annuali. Approfittando della semilibertà il lughese ha avuto modo di incontrare nuove persone e fra queste anche quella che sarebbe poi diventata la seconda moglie. Ma il percorso si è interrotto, come si diceva, nel settembre del 2009 e dalla fine di quell’anno Missiroli è di nuovo ristretto in carcere ventiquattro ore su 24.
ANGELO Missiroli venne sottoposto a fermo per uxoricidio la sera del 4 gennaio 1992, ovvero poche ore dopo il ritrovamento del cadavere della moglie, la trentaduenne Paola Montanari. A firmare il decreto di fermo fu il pm Francesco Mauro Iacoviello, oggi procuratore generale in Cassazione. Paola Montanari, cassiera alla Coop di Lugo, era scomparsa la mattina di sabato 28 dicembre del 1991. Il marito — così Missiroli aveva raccontato nella denuncia di scomparsa — l’aveva accompagnata al lavoro al mattino, poi nessuno l’aveva più vista. Il suo corpo colpito da venticinque coltellate tutte localizzate fra collo e petto, fu gettato in una discarica di via Zagonara, alle porte di Lugo e ricoperto da sacchi. Fu trovato da un passante la mattina di sabato 4 gennaio.
Era stato Angelo Missiroli a ucciderla: quella mattina del 28 dicembre l’aveva accompagnata in auto fino al parcheggio della Coop, lei aveva aperto la portiera poi lui l’aveva convinta a richiuderla e a fare un giro per discutere ancora una volta della sua volontà di separarsi, una decisione che lui non condivideva, sostanzialmente perchè si sarebbe trovato senza mezzi di sussistenza. Così Missiroli — che ha sempre negato l’omicidio — condusse l’auto fino alla discarica di via Zagonara e qui uccise Paola Missiroli a coltellate scaricandone poi il corpo e ricoprendolo.
A NULLA valsero le ricerche della donna svolte dai carabinieri per una settimana, proprio anche in quella discarica (e questo fu uno dei punti più difficili da superare al processo per il pm Iacoviello). La Corte d’Assise di Ravenna accolse comunque in pieno le richieste del pubblico ministero (appassionante la sua requisitoria, seguita da centinaia di persone) e condannò Missiroli a 30 anni di reclusione, pena confermata in appello e in Cassazione.
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