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Piero Benelli premiato alla carriera dall'Università di Urbino: un riconoscimento al medico della Nazionale volley

Il dottor Benelli, medico della Vuelle e della Nazionale volley, riceve un premio alla carriera dall'Università di Urbino.

Il premio Piero Benelli, una vita per lo sport

Il dottor Benelli, medico della Vuelle e della Nazionale volley, riceve un premio alla carriera dall'Università di Urbino.

Il dottor Piero Benelli, medico sociale della Vuelle dal 1988 e della Nazionale italiana maschile di volley dal 2008, ha ricevuto un premio alla carriera da parte dell’Università di Urbino, dove è docente e direttore del Centro di Medicina dello sport. "E’ stata una bella sorpresa ricevere un premio alla carriera mentre si è ancora in piena attività, forse era un messaggio subliminale – sorride Benelli –. Ma sono contento, perché è avvenuto in un luogo dove lavoro dal 2002, anzi dal ‘94 quando era ancora Isef, e che forse non è stato mai sotto i riflettori come altri ambienti in cui ho prestato la mia opera, ma dove ho avuto opportunità di crescita fondamentali che mi hanno consentito di unire la teoria alla pratica, la vera difficoltà della nostra professione: servono le basi scientifiche per lavorare sul campo".

Fisioclinics, da lui fondata, è un’eccellenza della riabilitazione ma Benelli si spende da anni per la prevenzione degli infortuni: a che punto siamo? "E’ in relazione diretta con la densità delle manifestazioni e l’aumento delle partite: si gioca 2-3 volte la settimana, nei tornei internazionali ogni 2-3 giorni, si viaggia di più e quindi ci si allena di meno. Si è fatto tanto in termini di ricerca, ma se crescono gli impegni agonistici aumentano le possibilità di infortuni acuti o cronici. Il nostro lavoro non è stilare i calendari, ma anche i giocatori stanno chiedendo di adeguarli perché non ci sia un sovraccarico eccessivo e spero che si arrivi a una soluzione migliorativa per gli atleti".

A quali atleti riabilitati dopo un problema fisico è rimasto più legato? "Due li ho nel cuore. Uno è Daniel Hackett, che nel 2016 incappò in un infortunio complicato, la rottura dei tendini del muscolo flessore, lo rimettemmo in pista per gli Europei del 2017 e in quei sei mesi a Fisioclinics, in cui lo aiutò tanto anche Matteo Panichi, la condivisione fu molto forte. L’altro è un pallavolista, Simone Anzani, fermato per un problema cardiologico che gli ha negato la gioia di partecipare alle Olimpiadi e di fatto l’ha tenuto in ballo due anni nei quali ho condiviso le sue angosce e momenti emotivi molto intensi. Da settembre è tornato a giocare senza problemi".

I ritorni nello sport, specie dei veterani: favorevole o contrario? "Sono sempre difficili perché più si è in età avanzata e più l’atleta deve prepararsi, che non significa allenarsi di più ma allenarsi meglio. Nello sci ne abbiamo appena avuti due, la Vonn e Hirscher, e altri ritorni clamorosi si sono verificati nel nuoto e nell’atletica leggera. Io sono favorevole allo sviluppo delle categorie Master che danno la possibilità di continuare a divertirsi a chi non ha voglia di smettere".

Il basket la coinvolge ancora tanto? "Dicono di sì. Mi hanno fatto notare che in una delle ultime partite della Vuelle sono uscito dalla panchina per protestare contro una decisione arbitrale. Diciamo che sto male quando la squadra non va bene".

E come è uscita dal tunnel questa Vuelle? Era un problema fisico o altro secondo lei? "Lo sport è multi-fattoriale, cioè è il risultato di componenti diverse. Quando la gente dice, superficialmente, che è colpa della condizione fisica mi arrabbio. Non può essere un solo fattore a determinare la crisi di una squadra, è un mix di problemi fisici, tecnici e psicologici, quindi per uscirne bisogna lavorare su tutti e tre i fattori".

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