Pesaro, 23 giugno 2011 - La Mostra di Pesaro è anche Eventi Speciali e Dopofestival. Ieri, per esempio,ha dedicato un’interessante retrospettiva al collettivo italo berlinese Flatform. Attivi tra Milano e Berlino, il collettivo di cineasti che si nascondono dietro la sigla Flatform, sono, internazionalmente parlando, trai più riconosciuti autori di cortometraggi italiani. Ispirate da un incipit filosofico che vuole visualizzare un habitat in cui il paesaggio e/o le azioni delle persone sembrano identici ma in continuo cambiamento temporale, le opere dei Flatform sono state presentate nei maggiori Festival di cinema (Rotterdam, IndieLisboa, Venezia, Oberhausen, ecc.). Il loro ultimo lavoro, Un luogo a venire (2011), è stato presentato a Pesaro in anteprima italiana.
L’anno scorso il collettivo si è fatto conoscere dal pubblico cinematografico italiano a Venezia con 'Non si può nulla contro il vento'. Così come il titolo suggerisce, durante i sei minuti e venti di sequenze, paesaggi di colline assolate vengono filmati in uno spazio di 60 chilometri e formati mosaici di luoghi in continua trasformazione abbandonati alla forza del vento. Questa veduta in movimento è essenziale per l’estetica di Flatform. Infatti, loro attraverso dei sillogismi sostengono che in questo video i corpi non sono vicini o lontani, ma grandi o piccoli. Ciò che scorre oltre il muro del nostro orizzonte, scorre sullo stesso piano e i piani stessi scorrono e gli orizzonti cambiano. Anche il loro ultimo lavoro, Un luogo a venire, è uno studio sul paesaggio visto come luogo cruciale dell’essere, ma sta volta le immagini sono sovrapposte e offuscate dalla nebbia, l’audio e il video dissociati, generando nello spettatore un senso di spaesamento. Mentre in Domenica, 6 aprile ore 11:42, realizzato nel 2008 e girato a Serra San Quirico, Ancona, una collina ripresa in un unico piano sequenza è accompagnata da una voce che descrive dettagliatamente tutte le azioni compiute da alcuni personaggi illuminati sullo schermo da una bolla che si muove insieme a loro. In Intorno allo zero, grazie alla tecnica del compositing, edifici e geometrie urbane vengono riprese da un treno in movimento in giro per l’Italia, poi sdoppiate, appiattite e montate in un solo piano sequenza modificando così la reale morfologia del luogo. Il tutto avviene a partire da riprese reali, e in questo caso il video mira a descrivere due concetti in netta opposizione: da una parte “rappresentare” e dall’altra “nascondere”. Ciò che interessa maggiormente Flatform è dilaniare le apparenze per aprire una nuova visione, una strada verso il possibile, pur sapendo di essere dominati dall’impossibilità. Ed è per questo, ad esempio, che amano concentrarsi sull’attimo del ricordo (come avviene nel video 57.600 secondi); sul ricordo pensato, voluto, traslato e ripetuto, per comprendere a fondo come il tempo, per Flatform, non preveda recuperi.
Inoltre, alla Mostra del nuovo cinema, ieri notte è stato inaugurato il Dopofestival, la sezione che da cinque anni si occupa di esplorare tutto ciò che non è cinema. Il primo appuntamento prevedeva Dodici pezzi facili, un progetto del Lems (Laboratorio di musica sperimentale) a cura di Mariangela Malvaso, Luca Vagni e Roberto Vecchiarelli (quatermassX), un lavoro che nasce dalla combinazione di tre progetti, (fotografici e filmici) all’interno di due eventi promossi dalla Biblioteca e dai Musei Oliveriani di Pesaro. A seguire, il primo dei quattro lavori dell’omaggio che il Dopofestival rende a Stefano Argentero ed ai suoi pupazzi di plastilina: Dicembre, videoclip della canzone omonima di Roberto Angelini. Si prosegue per quattro serate consecutive, una delle quali dedicata ai progetti più videoartistici di Cosimo Terlizzi, una dedicata ai film selezionati dal festival francese Signes de nuit, e l’ultima ai video di artisti, con i lavori della coppia napoletana Bianco-Valente, di Christan Reiner, Marc Giloux e Stefano Argentero.
Cosimo Terlizzi, video artista, performer e regista di documentari, sarà il protagonista di un focus che la Mostra ha deciso di dedicargli, presentando tutti i suoi documentari e la maggior parte delle sue opere video. Lavori che, svariando con i più diversi media, si caratterizzano per il loro stile deciso e personale e per un approccio che, partendo dall’Io, fa volgere lo sguardo verso la relazione tra l’essere umano e il suo ambiente, attraversando i temi dell’identità, del rito e del luogo che abitiamo. Nato a Bitonto, in provincia di Bari, Terlizzi ha iniziato la sua attività artistica a Bologna, città nella quale ha vissuto a lungo. Le sue opere sono state esposte in diversi musei e gallerie, tra le quali la Galleria d'Arte Moderna di Bologna, la Fondazione Merz di Torino, la Galleria Civica d'Arte Contemporanea di Trento, il MACRO di Roma, il National Museum of Breslavia in Polonia. Tra i film di Terlizzi in programma, Fratelli Fava (un video suggestivo e lirico sulla dicotomia umana ispirato dal brano musicale 'Jongleur' di Christian Rainer); Regina Irene Radmanovic (con piccoli gesti sensuali, Irena sviluppa la sua regale e santa immagine usando un’estetica packaging. Il lavoro si inserisce in un progetto più ampio dal nome “INVENTARIO”, che nasce come opera performativa); Ritratto di famiglia ( una classica posa fotografica di una ricca famiglia italiana in posa del 1867, un movimento di macchina da presa che rivela, senza alcuna parola, segreti inconfessabili); Une saison en enfer ( la Certosa Monumentale di Bologna, Eden della morte, giardino della disperazione, accoglie la lettura del testo originale di Arthur Rimbaud, come una lezione di lingua francese. Il testo ultimo di Rimbaud, Une saison en enfer, rappresenta la sintesi della sua poetica. Il film vuole essere sia rappresentativo della poetica di Rimbaud sia un opera di video arte); S.N. via senza nome casa senza numero ( Un film ad episodi. Ogni anno il racconto, in riprese di pochi minuti, dei cambiamenti di un luogo e di una famiglia, in un paesaggio che ha ceduto il passo all’assenza di identità).
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