Fossombrone (Pesaro Urbino), 31 agosto 2023 – Con il decreto di sfratto in mano, ieri mattina alle 8.30 si è presentato l’ufficiale giudiziario, seguito da tre poliziotti e un fabbro davanti a una fabbrica.
‘Barricati’ dentro un capannone di 4mila metri quadrati quindici persone, e cioè i titolari più gli operai. Perché ieri ha cessato di ‘vivere’ la "Metalli plastificati" di Calmazzo, in comune di Fossombrone.
"Ho dovuto tenere calmi tutti i dipendenti – dice il titolare (assieme al fratello), Mauro Paolini –. Era la terza volta che si presentavano ai cancelli, ma ci siamo chiusi dentro. Oggi, con le forze dell’ordine dietro, non volevamo creare problemi... Fra l’altro se non ci fosse da piangere ci sarebbe anche da ridere perché non riuscivano a tagliare il lucchetto del cancello d’entrata dello stabilimento per cui con un cavo hanno dovuto lavorare di frullino per tagliare la catena. Ora non so come fare – continua Paolini – perché in casi come questo non si può chiedere la cassa integrazione per cui fra qualche giorno, una volta terminato lo sgombero della fabbrica, dovrò licenziare tutti e molti dipendenti sono disperati perché hanno mogli e figli".
Ieri mattina l’ultimo atto di una storia lunga 10 anni e che ad inizio agosto ha visto anche la mediazione del Prefetto Emanuela Saveria Greco alla presenza di tutte le forze dell’ordine.
Mediazione per tentare di arrivare ad una composizione con la società Sicap, proprietaria del capannone, e con la Tempi Group che vuole acquistare lo stabile, solo a condizione che sia libero.
Come si arriva allo sfratto? Una vicenda che va indietro al 2014 quando Mauro Paolini si trasferisce nel capannone di Calmazzo ottenendo tutti i permessi dal comune di Fossombrone. Ma vista l’attività industriale e cioè la lavorazione di metalli, fra l’altro anche con importanti gruppi nazionali e internazionali, si alzano le barricate con proteste e con la creazione di un comitato.
L’amministrazione di Fossombrone, con una variante al Prg, blocca la fabbrica "ma siamo ricorsi al Tar che ci ha dato ragione perché avevamo tutti i permessi in mano – continua Paolini –. Però c’è stato un problema: quando è accaduto tutto questo noi per un anno siamo stati fermi e non abbiamo potuto lavorare. Quindi non eravamo nelle condizioni di pagare l’affitto, cosa poi fatta nel corso del 2016, arretrati compresi".
Nel frattempo i proprietari del capannone, la società Sicap, aveva chiesto lo sfratto per morosità al tribunale di Urbino. "Noi non abbiamo nessuna pendenza con i proprietari del capannone – continua il titolare della fabbrica – e il nostro contratto è valido per altri due anni. Ma è stata rispolverata questa sentenza di sfratto che ora, non capiamo perché, è stata eseguita". Ma con tanti capannoni vuoti che problema c’è? Ecco la risposta: "Abbiamo esigenze lavorative particolari: l’arcata deve essere alta 10 metri per i macchinari e lunga cento e deve essere larga 20 metri. Non è facile trovare capannoni con queste caratteristiche. Mi dispiace perché il lavoro stava aumentando, tanto che abbiamo ordini per tutto il 2024, e poi c’è il dramma del nostro personale e di tutti gli operai che dovrò licenziare perché non possono essere messi in cassa integrazione".
m.g.