Pesaro, 13 ottobre 2019 - Ieri mattina alle 10,30 si sono svolti i funerali del pugile Ekol Zulu nella chiesa del cimitero centrale. Zulu è morto alla fine di agosto, a 54 anni, in Sud Africa: ad ucciderlo un infarto. Sulla sua bara, ieri mattina, le cinture di campione di boxe pesi welters, trofei che aveva vinto nella sua lunga carriera: un titolo intercontinentale – IBF World Champin – a Catanzaro e quindi un tentativo, andato male, di diventare campione del mondo in Portorico in una serata organizata da uno dei miti della boxe statunitense, Don King. Davanti aveva uno dei pugili più forti dell’epoca, Trinidad: finì al tappeto «ma quel combattimento gli rese una borsa di 150 milioni di lire», ricorda Damiano Lassandro che ai tempi, i primi anni Ottanta, era il suo manager.
«Quando Zulu venne a Pesaro, aveva 22 anni – continua Lassandro –. Lo feci arrivare io tramite Patrizio Kalambay che mi disse di conoscere alcuni elementi validi nello Zaire. E tra questi c’era anche Zulu: devo dire che oltre ad avere un gran fisico era anche bravo. Con me ha combattuto non solo in Italia e molte volte all’interno del vecchio palas, ma anche in un ring estivo alla Palla di Pomodoro. Ci si alleva nei primi anni Ottanta, all’interno del palasport di viale dei Partigiani. Un solo peccato: non ha mai voluto prendere la nazionalità italiana, sposandosi qui, perché aveva già contratto il matrimonio nello Zaire. Questo gli ha impedito una carriera più brillante e forse anche più ricca sotto il profilo finanziario».
Dopo aver chiuso con la boxe professionistica, Zulu aveva continua l’attività collaborando con un altro mito della boxe locale, Luigi Minchillo, l’uomo che sfidò Duran, il pugile soprannominato mano di pietra. «Certo che sono andato al suo funerale – dice Minchillo – e con me c’erano anche tutti i ragazzi della mia palestra. Zulu era ben voluto da tutti e devo dire che era una gran brava persona». Zulu che aveva perso la moglie otto anni fa, lascia quattro figli: una vive a Pesaro e gli altri in Romagna dove lavorano. Chi era presente al funerale di questo pugile, che è stato poi sepolto nel cimitero di Villa Fastiggi, parla con rammarico del fatto che non c’erano molti di coloro che erano stati al fianco di Zulu in palestra. Ma la distanza tra la morte e il ritorno in Italia ha sfilacciato la memoria di questa trieste storia: sia Antonio Raspugli, istruttore, che lo stesso Damiano Lassandro hanno detto: «Non ci ha avvisato nessuno». Mentre Patrizio Kalambay era in Spagna.
Quella di Zulu non è stata una vita facile anche perché si è ritrovato, non volendo, in due occasioni in prima pagina e non come pugile: un nipote fermato per una rissa all’interno di un treno ed una figlia contestata – la ragazza era studentessa – in un hotel veneto dove stava lavorando: alcuni clienti non la volevano perché di colore. Del caso si occupò anche la stampa nazionale.