di Tiziano V. Mancini
Maci, Fabrizio Maci. Niente da fare: la maggior parte degli urbinati non riesce ad accostarvi un volto o una storia, tanto meno oggi che è in pensione e trascorre le sue giornate tra Fermignano e il natìo Salento. Eppure per decenni questo nome ha rappresentato la porta di accesso a Urbino, una sorta di Ellis Island al rovescio alla quale migliaia di studenti statunitensi si sono presentati non certo con le valigie di cartone ma con gli occhi spalancati su un mondo che avevano visto solo sui libri di scuola. Il Rinascimento, l’avanguardia della modernità, la prora del futuro culturale e scientifico del mondo, che sbocciava in Italia nei giorni in cui Colombo scopriva l’America.
"Più di 30 anni fa, quando vinsi il concorso da responsabile dell’ufficio relazioni internazionali, un collega mi disse: “non ti illudere: è un settore che non interessa a nessuno. L’ufficio del personale controlla i concorsi, l’ufficio ragioneria gestisce i soldi. E le relazioni internazionali a che servono?“. Oggi ripenso ancora a quella frase. Eppure erano tempi in cui la tv nazionale tedesca aveva realizzato il documentario “Urbino, Oxford d’Italia“ e l’Europa guardava a Urbino come una realtà importante nel panorama internazionale. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra i primi, se non il primo in Italia, il rettore Carlo Bo, nella sua lungimiranza, aveva creato i corsi estivi per stranieri che avrebbero portato a Urbino, negli anni, migliaia di studenti da tutto il mondo. Oggi nessuno parla più di Oxford d’Italia e i corsi estivi per stranieri sono stati chiusi, dopo anni di lento declino".
Perché è così difficile sviluppare programmi di respiro internazionale a Urbino?
"Recentemente Sal DiMaria, un professore dell’Università del Tennessee, che per molti anni ha diretto un programma di quella Università a Urbino e che recentemente ha trasferito il programma a Bologna, mi ha confessato che portare il suo gruppo di studenti a Urbino è stato sempre anti-economico. Il suo gruppo arrivava a Roma, poi noleggiavano un pullman per Urbino e da qui, per organizzare le gite aveva sempre bisogno di noleggiare un autobus, spendendo ogni anno qualche migliaio di euro. Adesso vanno a Bologna in aereo e non organizzano più gite perché gli studenti, nel fine settimana, possono andare dove vogliono con il treno o l’aereo. Inoltre le residenze dei loro studenti hanno l’aria condizionata a differenza dei collegi di Urbino. Il solo motivo che lo spingeva a portare i suoi studenti a Urbino erano le persone che aveva incontrato e alle quali si era affezionato. Amici che ogni anno rivedeva con piacere".
Dunque anche nelle relazioni internazionali le persone sono fondamentali. Ma oltre a Bo, chi ci credeva?
"Tra i primi a comprendere l’importanza di ospitare programmi di Università americane a Urbino fu Paolo Volponi, che aveva allacciato un rapporto di cordiale amicizia con due docenti della Miami University, Ohio, i professori Peter Pedroni e Sante Matteo, che hanno diretto, in periodi diversi, un programma estivo di quella Università in Urbino. Pedroni aveva anche tradotto e pubblicato negli Stati Uniti “Sipario ducale“ con il titolo “Last act in Urbino“ e, nel 1988, aveva invitato Volponi a Provo, nello Utah – alla Brigham Young University, dove allora insegnava Sante Matteo, come relatore principale del congresso annuale della American Association for Italian Studies –. Un’altra persona che per anni è stata un sicuro punto di riferimento per i programmi statunitensi a Urbino è stato il prof Giorgio Cerboni Baiardi, appena scomparso. Aveva instaurato un rapporto di grande amicizia e fiducia reciproca con i direttori di programma a Urbino Gianni Azzi, dell’Università di New Paltz, nello stato di New York, Michael Vena, della Southern Connecticut State University, Sal DiMaria, della University of Tennessee, Faust Pauluzzi, dell’Università della SouthCarolina, e Guido Guarino, della Rutgers University nel New Jersey, Università presso la quale aveva anche trascorso un anno accademico come visiting professor".
Si parla tanto di sinergie fra le istituzioni cittadine: quanto sarebbero utili in questo settore?
"L’attuale pro rettrice Antonella Negri, consapevole di questo aspetto nel campo dell’internazionalizzazione, un paio di anni fa si era resa promotrice, insieme al sottoscritto, di un protocollo tra Enti che vede coinvolti, oltre all’Università e al Comune, anche Erdis, Isia, Accademia di Belle Arti, Palazzo Ducale e Accademia Raffaello. Un accordo che sulla carta era strategico, in primo luogo perché l’ambiente in cui arrivano gli studenti internazionali deve essere accogliente e per questo motivo è necessario il contributo di tutti. Tutti siamo consapevoli dell’isolamento di Urbino e della difficoltà di raggiungerla. È importante che quando gli studenti internazionali arrivano in città sentano di essere arrivati in una città dove sono benvenuti. In secondo luogo perché in molti paesi, tra cui gli Stati Uniti, non esiste la differenza tra Università, Accademie di Belle Arti e Conservatori musicali perché Fine Arts e Music sono dipartimenti universitari. Per questo motivo potrebbe rendersi necessario siglare accordi di cooperazione coinvolgendo più istituzioni locali. Last but not least, in Urbino c’è un grosso ostacolo, forse il più grosso, all’internazionalizzazione: la carenza di alloggi. L’attuale legge regionale per il diritto allo studio rende praticamente impossibile alloggiare presso i collegi universitari gli studenti di scambio e le agenzie immobiliari di Urbino gestiscono ancora tutto in presenza. Non esiste, come ormai accade ovunque, un sito internet con la lista degli alloggi disponibili, corredato da foto e video e in cui gli studenti interessati possano prenotare l’alloggio pagando con carta di credito. Questo agevolerebbe anche gli studenti italiani, non solo quelli internazionali".
Cosa si immagina per il futuro?
"Io credo ancora – conclude Maci – che il destino della nostra Università e, di conseguenza, della città, possa comprendere lo sviluppo di una dimensione internazionale, tanto più considerando che è Patrimonio Unesco dell’Umanità. Occorre però che anche gli attori che adesso appaiono poco coinvolti comprendano che il loro ruolo in questo processo è importante perché l’internazionalizzazione diventi veramente un volano per lo sviluppo economico e sociale dell’intero territorio. Io continuo a sperarci".