ANTONELLA MARCHIONNI
Cronaca

Società di Pesaro nel mirino, sventata truffa da 15 milioni su fondi Pnrr: arresti e sequestri

Le Srl non avevano mai presentato le dichiarazioni fiscali, alcune addirittura da 20 anni, ma gli indagati creavano "a tavolino" almeno due bilanci falsi nei quali si certificavano ricavi milionari

guardia di finanza di Pesaro

guardia di finanza di Pesaro

Pesaro, 18 giugno 2024 – Società di Pesaro al centro dell’operazione del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Pesaro denominata “La giostra si è fermata”. Le fiamme gialle hanno eseguito 3 ordinanze di custodia cautelare personali nei confronti di alttrettanti indagati, una misura cautelare interdittiva nei confronti di un quarto uomo e sequestri preventivi per un ammontare di oltre 490 mila euro. Le ordinanze ed i decreti sono stati emessi dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Pesaro, su richiesta dell’European Public Prosecutor’s Office (Eppo) di Bologna. L’attività ha consentito anche di bloccare illecite richieste di finanziamenti pubblici, erogati con fondi del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), per oltre 15 milioni di euro, che sarebbero stati stanziati da Simest (società partecipata da Cassa Depositi e Prestiti).

Tutto è partito da un accertamento nei confronti di una Srl situata a Pesaro, beneficiaria di finanziamenti agevolati e garantiti dallo Stato e dall’Unione Europea riconducibile ad un soggetto che risultava essere amministratore e socio unico.

L’ipotesi avanzata dagli inquirenti che hanno scandagliato la società pesarese era quella di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Successivi approfondimenti hanno poi consentito di individuare ulteriori casi analoghi di agevolazioni pubbliche richieste ed in parte ottenute a favore di altre società con sedi legali a Ravenna e Bolzano. Sarebbero documentati ben 15 casi di truffa aggravata aventi ad oggetto numerose richieste di finanziamenti a sostegno delle imprese italiane nel percorso di internazionalizzazione, in relazione alle quali, grazie alla fattiva collaborazione di SIMEST, ne è stata impedita l’erogazione per una somma superiore a 15 milioni di euro.

Il modus operandi architettato dagli indagati, secondo gli inquirenti, era così ben congegnato da riuscire a superare anche i controlli operati dagli Enti eroganti, realizzando così una “best practice” della truffa.

Secondo l’ipotesi dell’accusa gli indagati creavano o rilevavano delle società di capitali che, di fatto, erano scatole vuote, prive di qualsiasi operatività commerciale o finanziaria, con sedi legali ed unità locali totalmente inesistenti o riconducibili a servizi di mera domiciliazione societaria, mantenute in vita appositamente per frodare gli Enti preposti all’erogazione del denaro pubblico. Le società utilizzate, di fatto, non avevano mai presentato le prescritte dichiarazioni fiscali, alcune addirittura da oltre 20 anni, ma gli indagati si premuravano di creare “a tavolino” almeno due bilanci d’esercizio totalmente falsi che esponevano ricavi milionari, li depositavano telematicamente al Registro Imprese, realizzando così, secondo l’accusa, il delitto di false comunicazioni sociali.

Presentavano poi a Simest una serie di richieste di finanziamenti, in parte anche a fondo perduto, garantiti dallo Stato o con fondi europei, motivandoli con la volontà di internazionalizzare l’impresa, sviluppare il commercio elettronico o per l’inserimento nei mercati esteri. Riuscivano quindi, secondo gli inquirenti, a indurre in errore il soggetto gestore delle risorse, ottenendo così una prima erogazione dei finanziamenti che immediatamente venivano distratti dai conti correnti societari attraverso sistematici prelievi in contanti agli sportelli bancari automatici nonché tramite bonifici bancari a favore anche di altri soggetti (persone fisiche e società) estranei alla compagine sociale.

Le ulteriori investigazioni sono state determinanti per individuare una “regia tecnica” che si ritiene essere stata svolta da un commercialista che avrebbe realizzato a “tavolino” dei bilanci milionari falsi, e si sarebbe prodigato per la loro trasmissione e deposito al Registro Imprese e per alterare sia i contratti con i fornitori (anch’essi inesistenti e messi a disposizione, secondo l’ipotesi degli inquirenti, dallo stesso commercialista), sia gli estratti conto bancari propedeutici all’ottenimento delle tranche successive di denaro. Gli altri tre indagati sono soggetti da sempre privi ufficialmente di reddito.  Le perquisizioni delle abitazioni e degli uffici sono state prevalentemente eseguite nella provincia di Salerno. Sono state condotte con il supporto di militari del Gruppo di Salerno e di un’unità cinofila specializzata nella ricerca di denaro, i “cash dog”, messa a disposizione dalla Compagnia Guardia di Finanza di Capodichino.