ROBERTO DAMIANI
Cronaca

Trebbi, le sue memorie: "Partirono tutti fascisti e tornarono partigiani"

"Era il ’44. Io avevo 12 anni. Le camicie nere di Pesaro andavano a Salò ma durante il viaggio moltissimi si sono mischiati tra la gente tanto che li abbiamo rivisti poco tempo dopo in piazza con i documenti della Resistenza".

Luciano Trebbi, riavvolgiamo il nastro. Fine della guerra. Quanti fascisti sono scappati da Pesaro o sono diventati subito comunisti?

"Ah, sì questa è bella. Avevo 12 anni. Mi ricordo che molti personaggi fascisti di Pesaro, come Frenquellucci, il figlio dell’arrotino col negozietto nel Corso, erano fuggiti a metà del 1944 andando a Nord dove c’era la Repubblica di Salò. Volevano arruolarsi. C’era anche il portiere dell’ospedale, senza un occhio. Quello era terribile. Se non ricordo male erano in 500. Ma nel viaggio o poco prima di arrivare, si sono mischiati alla gente, hanno trovato i partigiani che gli hanno pure dato i documenti di partigiani e così poco tempo dopo sono tornati tutti a Pesaro da eroi. C’erano i comunisti, come Roberto Carrara, che li ha visti e fatti arrestare ma li hanno rilasciati subito. Poi proprio Carrara, dopo l’attentato a Togliatti del ’48, aveva nascosto una ventina di fucili e mitraglie nei magazzini del Comune. Ma le autorità lo hanno saputo o e volevano arrestarlo. Si è nascosto per quindici giorni dal parrucchiere Aldo Della Costanza, in via Tortora, e poi dopo lo hanno fatto fuggire a Praga. E’ tornato qualche anno più tardi con l’amnistia".

Ha mai avuto la tentazione di andare a vivere in Unione Sovietica?

"Mai, si sta tanto bene a Pesaro".

Poi Trebbi prende un pacco di foto: "Ne ho 43mila, le ho comprate in diversi momenti della vita. Ecco, questi sono i fascisti pesaresi che sfilano al Kursall, questi altri sono andati a Predappio, altri sono di Fano. Qui ci sono i soldati alleati che entrano al teatro Rossini".

Dove ha trovato queste foto?

"Non posso dirlo, assolutamente. Guardi queste: qui era l’area dove si faceva il gas in via Morosini, questo è il ponte della statale sopra la ferrovia negli anni ’40, e poi ecco gli ufficiali tedeschi che sono andati via per ultimi da Pesaro dopo aver cercato di fermare l’avanzata alleata. Ma questa foto non ce l’ha nessuno: è la famiglia Benelli al Vallechiara a Riccione".

Trebbi, quando è stato assunto in Comune da vigile urbano?

"Dopo il militare che avevo fatto a Carpegna nel poligono, era il ’53. Avevo fatto domanda in Comune ma non mi prendevano perché ero troppo comunista. Poi ho fatto il concorso ma hanno chiamato un sacco di democristiani. Una volta entrato però, quante gliene ho fatte vedere".

Poi si è messo subito a fare le multe?

"No, mi hanno mandato all’ufficio tributi. Quella volta non pagava le tasse nessuno o pochi. La capo ufficio era una fascista di quelle che avevano sfilato in divisa nera. Ma quando si sono accorti che raccoglievo tutti i dati di chi doveva pagare le tasse, l’imposta di famiglia, pari a 28mila lire, allora mi hanno tenuto. Gli industriali non volevano pagare mai e la politica non intendeva lasciarmi in quell’ufficio. Anche la prefettura non mi voleva. Ma la capufficio, che all’inizio mi ostacolava, ha cominciato a difendermi e a volermi nell’ufficio. Sapeva che io facevo tabula rasa. Nel fine settimana, facevo le multe per strada insieme ad un collega, D’Angeli, che era un socialista. Una volta ne avevamo fatte 500. Con noi non c’era bisogno delle telecamere". Poi Trebbi apre un cassetto, e tira fuori delle carte d’identità di gente degli anni ’50, foto, libri, lettere personali e la fascia rossa del Pci che i militanti infilavano al braccio per l’ordine pubblico in caso di comizi. Ci sono anche due bandiere dei monarchici.

Ma lei è comunista e monarchico?

"No, solo storico. Le ho pagate 100mila lire tutte e due. Ma di loro ho una valigia di tessere, le foto di Achille Lauro a Pesaro, e poi i monarchici avevano il loro partito. Si chiamava partito democratico italiano. Io sono un collezionista attento a tutto. Tullio Giacomini mi ha regalato tutte le foto dei suoi giornali, Cronaca 80 e Azzurra".

Due scatoloni chiusi impediscono di camminare nella stanza: "Ah, sì, lì dentro ho tutta la linea Gotica. Di qua ho il rapporto al duce dei fascisti di Pesaro". Dove c’è la lavatrice e una bicicletta, spuntano tre ripiani di libri: "Li leggo in continuazione ma devo muovermi con l’aiuto del carrello e in mezzo a tutta questa carta non è facile.

Ultime domande Trebbi: perché è stato comunista?

"Per i libri che ho letto e la gente che ho conosciuto".

Adesso cosa vota?

"Il Pci naturalmente. Abbiamo preso 10mila voti in regione. Stiamo andando bene"

Dopo esser andato 100 volte a Mosca, Gori compreso, il paese natale di Stalin in Georgia, ha mai pensato di andare a New York?

"No, mai. Avevo cominciato ad andare di là, all’Est, e da lì non mi sono mosso. Mi sono rifiutato di andare anche a Cuba con degli amici perché non mi interessava al di là dell’Atlantico. Mi piaceva l’Est. E l’ho fatto conoscere anche ad un prete come don Giuseppe Scarpetti. E’ venuto a Mosca con me due volte per visitare una Cattedrale ricostruita dopo che era stata abbattuta da Stalin per farci una piscina".

Il suo archivio è straordinario. Dovrebbe condividerlo...

"Ma come si fa, qui a casa non ci stiamo tutti".

Ma ha anche un proiettore da cinema?

"Sì, è un Ducati. Facevo vedere i filmati politici nei circoli del Pci. Ero diventato anche giornalista da Pesaro dell’Unità. Ho il tesserino di pubblicista. E’ una delle tante soddisfazioni che mi ha dato la vita".

Allora Trebbi, ne è valsa la pena di esser stato comunista?

"Sì, certo. Ma io lo ero più per la gente che per il partito. Mai detto di no a nessuno, anche a quelli di destra. Perché contano le persone, sia in guerra che in pace, di sinistra e di destra, atei e religiosi. La brava gente è dappertutto".

(fine)