NICOLA PETRICCA
Cronaca

Urbino, la storia di Raed. Arrivato in gommone dall'Egitto e ora chef di successo

La storia del 20enne egiziano Abdalla. Una Comunità urbinate e l’Istituto “Pellicano“ l’hanno accolto. E ora ha successo

Urbino, 18 giugno 2021 - Lasciare casa da giovanissimi per partire verso un Paese lontano, di cui si ignorano lingua e cultura e in cui non si hanno conoscenti, è una scelta che richiede coraggio, anche quando dettata dalla disperazione. Questo perché, per tanti, quel viaggio finisce prima di arrivare alla meta o non va come sperato.

Raed Abdalla era solo quindicenne quando salutò genitori e fratelli, partendo dal sud dell’Egitto per arrivare in Italia in cerca di una vita migliore, e ora, che di anni ne ha 20, può dire di avercela fatta, grazie alla quella che è diventata la sua grande passione: la cucina.

La maggior parte della propria esperienza qui, Raed l’ha trascorsa come ospite di una comunità di Urbino (“La Villetta“) e come studente dell’Istituto “Pellicano“ di Trasanni, scuola specializzata nel settore della ristorazione, a cui, pochi giorni fa, ha regalato una grandissima soddisfazione: "Ho vinto un concorso culinario aperto a tutti gli Alberghieri d’Italia. Si chiama Combiguru Challenge ed è organizzato annualmente da Unox, azienda produttrice di forni – spiega –. Dopo una selezione interna, c’è stata la fase finale a Padova, a cui mi ha accompagnato la professoressa Sara Arduini. Lì ho affrontato altri sette sfidanti, vincendo tutte e quattro le categorie: quando hanno chiamato il mio nome ho sentito una sensazione mai provata. Prima ero perso, ma in quel momento ho capito di essermi ritrovato e di aver ricambiato il favore alla mia scuola, a cui volevo regalare qualcosa. Ci sono riuscito, visto che ho vinto per l’istituto un forno da 5.000 euro".

Di lui, al Pellicano sono tutti orgogliosi, a partire dalla coordinatrice, Anna Rita Bonaventura, che lo definisce "molto motivato e con tanta voglia di imparare". Tuttavia, quando è arrivato, Raed non sapeva come avrebbe potuto trovare quella vita migliore che tanto cercava, anzi: i primi tempi, così come il viaggio, sono stati difficilissimi.

A sinistra, Raed Abdalla con la sua "Torta del faraone"
A sinistra, Raed Abdalla con la sua "Torta del faraone"

"Vengo da un piccolo paese chiamato El Menia, poco sviluppato e senza industrie. Era il 10 aprile 2016 quando decisi di partire assieme ad alcuni amici. Delle persone ci diedero dei consigli e non spendemmo un soldo per il viaggio, perché ci dissero che saremmo saliti su una crociera e poi saremmo potuti scendere dove avessimo voluto, magari in Spagna o in Italia. Arrivati ad Alessandria, ci misero per cinque giorni in una casa, assieme a tanti altri, dove ci insultavano e picchiavano, e poi ci caricarono in 130 su un barcone. Lì capimmo che era tutta una fregatura: non c’era alcuna crociera. Nel frattempo, chi faceva domande o pesava troppo veniva buttato in mare per alleggerire il gommone e poi fummo portati su un’altra barca, dove diventammo più di 400 e avevamo mezzo bicchiere d’acqua e mezzo panino al giorno, vivendo tra vomito, escrementi, bambini e persone che morivano di fame o affogate. La mia paura però, a quel punto non era quella di morire, ma di non poter aiutare la mia famiglia come avevo promesso. Passate due settimane e dopo essere stati respinti da Grecia e Spagna, una nave statunitense ci portò a Lampedusa. Lì, con i soccorsi della Croce Rossa, cominciò il mio viaggio in Italia".

Dopo essere stato assegnato a una comunità siciliana, alcuni connazionali di Raed lo spaventarono dicendogli che lì non avrebbe ricevuto documenti. Così scappò e cominciò a girovagare per l’Italia, dormendo per strada. Fermato dalla polizia a Roma Termini, fu spedito in varie comunità, ma, ovunque lo mandassero, tornava sempre nella capitale seguendo i binari. Così lo inviarono a Urbino, dove una ferrovia non c’era.

"Ho cercato di scappare anche da qui, ma alla fine mi sono rassegnato. Poco dopo, però, mio fratello minore morì e caddi in depressione. Così, per distrarmi, la comunità mi iscrisse contemporaneamente all’Istituto Pellicano e alla scuola serale, per prendere il diploma di terza media. D’estate, grazie al professor Emanuele Barzotti, cominciai a lavorare per dei catering e lì scoprii la passione per la cucina. Pian piano sono arrivate sempre più chiamate, fino all’assunzione come sushiman nel ristorante Sushiya di Fano, che mi portò a trasferirmi. Lì ho ricominciato da zero e mi sono sentito di nuovo perso, ma tutto è passato grazie all’aiuto di una signora del posto, Raffaella Piccoli, che mi ha offerto una casa quando sono uscito dalla comunità, una volta diventato maggiorenne: lei è come una seconda mamma per me e devo al suo appoggio tutto il successo che sto avendo".

Nel frattempo, Raed è cresciuto, ha preso la patente e, ora che è diventato autonomo, ha ricevuto la chiamata della vita: "Dopo aver visto i miei lavori sui social network, il titolare del locale Tinto, di Fano, mi ha proposto di trasferirmi nel suo nuovo ristorante in città. Concluso il periodo di prova, ora diventerò primo chef e ne gestirò l’organizzazione, guidando una squadra di otto persone e proponendo una carta con più di 100 piatti, basata sulla connessione tra la cucina orientale e quella locale. Tante volte ho pensato di essere sfortunato, ma ho sempre cercato di andare avanti, superando anche l’enorme difficoltà di imparare l’italiano. Mentre lo facevo, mi sono innamorato di questo Paese, a cui ormai sento di appartenere. Qua non mi sento diverso o straniero: un giorno prenderò la cittadinanza e il mio obiettivo è portare in Italia anche la mia famiglia. Due volte al mese li sento e, sapere che sono felici per me, mi fa sentire meno in colpa per essermene andato. Se dovessi tornare indietro rifarei tutto, sin dalla partenza dall’Egitto".