
Quattro secoli fa l’inizio della fine del Ducato
Moretti *
Nel maggio 1598 Clemente VIII veniva accolto festosamente nelle città roveresche di Senigallia e Pesaro, tappe del viaggio che conduceva il pontefice a Ferrara, ormai ex capitale del ducato estense. La città era rientrata sotto il governo diretto dello Stato ecclesiastico dopo la morte dell’ultimo duca Alfonso II (27 ottobre 1597), alla quale era seguita quella della sorella Lucrezia d’Este, duchessa di Urbino, da molti anni separata da Francesco Maria II della Rovere a causa di un matrimonio infelicissimo e senza eredi.
Nel passaggio di papa Aldobrandini, alle grida festose si unirono i contrastanti sentimenti dei sudditi urbinati che, nella speranza di scongiurare la malasorte estense, si affrettarono a richiedere al duca un nuovo matrimonio. Francesco Maria II, non senza reticenze, decise di assecondare la volontà del suo popolo prendendo in moglie la figlia di suo cugino Ippolito, Livia della Rovere, appena quattordicenne al momento delle nozze celebrate nel 1599. Nel 1605 la giovane duchessa partorì l’erede Federico Ubaldo dando così corpo alle speranze di una successione duratura, favorita dall’alleanza con i Granduchi di Toscana e dalla consolidata protezione della monarchia spagnola.
Ma il 28 giugno 1623 il principe di Urbino moriva improvvisamente e con lui il progetto del padre, che vi aveva investite energie finanziarie e sforzi diplomatici. Ne approfittò il neoeletto papa Urbano VIII Barberini il quale fiaccò facilmente la volontà dell’ormai anziano duca, ottenendo una inequivocabile attestazione di sottomissione passata alla storia come “Dichiarazione di Casteldurante“, vergata di suo pugno il 4 novembre 1623. Eccone di seguito uno stralcio dalla versione pubblicata nell’Istoria del Granducato di Toscana di Riguccio Galluzzi (1841): "Io, che ho professato sempre devozione e fede sincerissima a santa Chiesa et ai sommi pontefici, capi di essa e vicari di Cristo, ma in particolare la professo a Vostra Santità, dichiaro et affermo a Vostra Beatitudine, come ho affermato e dichiarato ad altri, che Sinigaglia, il Vicariato, Montefeltro e tutti gli altri Stati che io posseggo, e quanto ho di beni feudali e giurisdizionali, alla mia morte tornano alla Sede apostolica: e per questa verità, mentre avrò vita, fedelmente e con prontezza la spenderò bisognando, acciocchè tutto il mondo vegga che alla Chiesa e Camera apostolica romana si deve tutto quello che ho detto, e che io non debbo né posso in alcun modo disporne, siccome non ne ho disposto né disporrò a favore di alcuno. Ciò confermerò fino all’estremo mio spirito, e mi dichiaro che con questa disposizione voglio morire".
La dichiarazione aveva un duplice scopo: evitare disordini, possibili conflitti e sofferenze al proprio popolo nonché gestire la trasmissione di una eredità costituita da beni mobili e allodiali dei Della Rovere e soprattutto da uno straordinario lascito culturale fatto di carte d’archivio, di manoscritti, libri stampati e opere d’arte. Il processo di devoluzione avviato dal duca si completò nell’arco di otto anni con la sua morte, avvenuta il 28 aprile 1631. Fino al 2031, quando ricorrerà il quarto centenario della scomparsa di Francesco Maria II della Rovere, vi è dunque un tempo utile per riconsiderare questa fase opaca della storia del Ducato, durante la quale sussistettero di fatto due corti: quella dell’anziano duca, ritirato nella sede diletta di Casteldurante, e quella dei governatori pontifici Berlighiero Gessi e poi Lorenzo Campeggi che dalla fine del 1624 occuparono le magnifiche stanze del Palazzo ducale di Urbino, preparando l’insediamento – già nel giugno 1631 – del primo legato pontificio, il cardinale Antonio Barberini.
Sul piano culturale le conseguenze furono enormi: ci fu un riallineamento di tutte le forze religiose, politiche e intellettuali dell’ex ducato mentre cominciava la diaspora silenziosa di artisti e di opere d’arte. Tra queste le celebri tavole di Fra Carnevale, entrate presto nella collezione Barberini e da qui emigrate negli Stati Uniti a seguito della dispersione della raccolta romana avvenuta negli anni Trenta del secolo scorso. Ricorrono quindi in questi mesi i quattrocento anni dall’inizio di quel processo noto come Devoluzione, un momento cruciale della nostra storia, meritevole di una approfondita disamina e di una celebrazione da collocare a conclusione ideale delle iniziative che nel 2022 hanno voluto ricordare con convegni e importanti esposizioni il sesto centenario della nascita di Federico da Montefeltro, fondatore e protagonista della storia gloriosa del Ducato di Urbino.
* docente Università
La Sapienza - Roma