Pesaro, 25 agosto 2022 - Ha ucciso a martellate la sua ex compagna, una donna che aveva più del doppio dei suoi anni: lui, Giovanni Padovani, 27, lei, Alessandra, 56. Undici anni fa Giovanni Padovani era uno dei ragazzi più educati, tranquilli, e promettenti della Juniores dell’Alma Juventus Fano. Era arrivato a Fano per sfondare, per fare il professionista e lo aveva dimostrato prima di tutto fuori dal campo con una condotta integerrima e inappuntabile per una intera stagione in quel lontano 2011. Il gesto folle di martedì, quando l’ex calciatore dell’Alma ha ucciso a Bologna con un martello la sua compagna, ha sconcertato chi lo ha conosciuto e anzi è stato il suo maestro per un anno, rimanendo in seguito in contatto con lui: Omar Manuelli, uno degli allenatori più stimati che ha fatto crescere, quando era al Fano e non solo, diversi talenti. Uno dei più promettenti era proprio Giovanni di cui Manuelli aveva apprezzato prima di tutto le doti umane: "Un ragazzo educato – dice – per bene, sempre al suo posto, mai una volta sopra le righe, disponibile al sacrificio e al lavoro, un esempio prima di tutto nello spogliatoio, uno che si comportava già da professionista perché voleva diventarlo".
Anche per questo la notizia del tragico fatto di cronaca ha sorpreso lui e i suoi ex compagni di squadra di quell’Alma che in queste ore hanno chiamato anche il mister. "Sì – dice Manuelli – quello che è accaduto è sconvolgente e ce lo siamo detti anche nei messaggi che ci siamo scambiati con gli ex componenti di quella squadra che ora fanno i calciatori in giro per l’Italia. Esattamente come Giovanni che aveva i numeri per fare una bella carriera e in effetti in serie D ci è arrivato. Niente avrebbe fatto pensare a quello che è accaduto. Bisogna tenere presente che parliamo di un ragazzo di sedici anni che arrivò alla Juniores del Fano con un fisico ancora da maturare e di età inferiore rispetto a molti altri della sua categoria. Ma proprio per questo si era messo completamente a disposizione e si è era guadagnato un discreto minutaggio nonostante un ruolo delicato e che imponeva anche doti quali fisicità e mestiere come quello del difensore centrale. Padovani aveva conquistato tutti per il suo carattere mite e incline al lavoro, sempre al suo posto nello spogliatoio, umile e bravo nel sapere ascoltare i consigli".
Un rapporto che è andato al di là del Fano, quello tra il giovanissimo calciatore e il suo maestro: "L’ho fatto esordire – prosegue Manuelli – e ha giocato parecchie partite di quel campionato, fino a spingersi verso la prima squadra con cui ha collezionato anche una presenza. Poi i nostri destini si sono divisi, lui è andato in altri club e io ho proseguito il mio cammino di allenatore. Ma nonostante tutto ci sentivamo, abbiamo continuato a scambiarci messaggi al telefono. Mi comunicava la squadra di appartenenza del momento, io gli chiedevo come andasse e lui si raccontava. Insomma si era creato un rapporto di amicizia, anche perché Giovanni, che era uno dei più piccoli al Fano, forse si era sentito valorizzato da me. Un rapporto di simpatia e cordialità che è continuato per qualche anno. Poi ci siamo persi, anche perchè lui oltre al calcio coltivava la passione per la moda e con il suo aspetto fisico poteva permetterselo. Ora abbiamo saputo di questa tragedia ma io non riesco ad immaginarmi come sia potuto accadere. Niente dell’adolescente faceva pensare a questo. Giovanni non era un ragazzo violento. Siamo tutti allibiti".