Nuovo vicario generale. Il sorriso di don Marco:: "La fede si comunica anche con una battuta"

"Quando si è testimoni gioiosi si può arrivare ai cuori comunicando la bellezza del donarsi agli altri". Un suo motto: "Siamo sempre aperti, soprattutto la domenica".

Nuovo vicario generale. Il sorriso di don Marco:: "La fede si comunica anche con una battuta"

Nuovo vicario generale. Il sorriso di don Marco:: "La fede si comunica anche con una battuta"

Don Marco Di Giorgio, cosa avrebbe detto suo papà Silvio, granitico difensore della Vis prima della seconda guerra mondiale nonche fondatore della Victoria calcio, di questa sua nomina a Vicario generale del clero?

"Difficile saperlo, penso che sarebbe stato contento, da fervente cattolico".

Lui difensore della prima scuola dei tempi, lei fantasioso, prete gentilmente d’attacco, da chi ha preso?

(ride)

"Non saprei, penso sia una questione di carattere".

Da dove viene?

"Ho fatto il lupetto negli scout, quindi sono cresciuto nella vivacissima parrocchia di San Giuseppe, quindi nell’Azione cattolica. Ho sempre vissuto una chiesa molto attiva, aperta, bella nel senso che le cose che facevamo erano belle: si andava a servire i malati a Lourdes, ma c’era anche la festa del ragazzo e si pregava tanto. Insomma c’era una spiritualità concreta, ogni giorno lodi e vespri. Sono cresciuto in una chiesa viva e il mio modo di intendere la chiesa è rimasto vivo".

Ma è vero che spopola su Facebook?

"Ho due pagine, ero arrivato a cinquemila amici sul mio profilo personale, ora ho anche una pagina pubblica. Di questi, circa cinquecento guardano il mio commento al Vangelo".

Dicono che sia un simpatico evangelizzatore, come si arriva al cuore della gente?

(ride)

"Quando si è testimoni gioiosi e quando si dà una comunicazione accessibile. Conta il linguaggio, che deve essere comprensibile. Molto spesso la gente mi dice: quello che dici è bello perché si capisce".

Lei è celebre per le sue battute, ce ne dica una.

(ride)

"Non saprei"

Gliela diciamo noi: ha fatto appendere fuori dalla chiesa di San Luigi, la sua ex parrocchia, un cartellone in cui c’è scritto: "Siamo sempre aperti, specialmente la domenica".

"Ah certo, quello ha colpito molto, quella frase è nata per dire che la domenica si può andare non solo al supermercato, ma anche in chiesa e la gente l’ha apprezzata molto".

Come sta il popolo Dio dopo il ciclone Covid e con la secolarizzazione che ha fatto cadere perfino i crocefissi dalle aule?

"I dati sono chiari: negli ultimi vent’anni il numero delle persone che vanno in chiesa è dimezzato, ma ci sono segnali: nell’ultimo convegno diocesano della settimana scorsa, abbiamo visto un popolo di Dio partecipe, che ha voglia di camminare insieme, di evangelizzare, persone molto motivate. Il popolo di Dio magari è meno numeroso ma è aumentato il numero dei cristiani consapevoli, sta emergendo una scelta cristiana consapevole".

Tre cose che farà da vicario.

"Sono il primo aiutante del vescovo, seguo lui".

Mancano preti, cosa fare? E come aiutare i giovani?

"Assieme al vescovo ci stiamo riorganizzando, l’emergenza vocazioni è una realtà nazionale. Per aiutare i giovani bisogna essere preti felici".

Ma perché essere cristiani e quali vantaggi porta?

"Avere il senso della vita e una speranza che ti fa vivere le cose in un modo nuovo, perché la vita è trasfigurata dalla figura di Gesù. Il paesaggio è lo stesso per tutti, ma ci può essere il sole oppure ci possono essere le nuvole. Gesù cambia tutto, con lui è bel tempo".

Qual è la parola chiave che il vicario dell’allegria sussurra?

"Vivere per donare fino alla fine".

Già, è dopo cosa succede?

"Non lo so, non lo sa nessuno, sappiamo solo, perché ce lo dice il Vangelo, che dopo la morte c’è l’abbraccio, non c’è il nulla, c’è il volto di Cristo risorto e l’abbraccio eterno della trinità, cioè del padre, del figlio e dello spirito santo che ama e salva tutto. Dunque non ci resta che aprire le braccia e corrispondere amando a questo abbraccio".

Insomma un vicario amorevole...

(ride)

"Lo spero".

Davide Eusebi