Pesaro, 15 ottobre 2022 - La notte che ha cambiato Cantiano non sarà mai dimenticata. Soprattutto dai suoi residenti. Eleonora Masci, coniugata Fiorucci e madre di due bambini a un mese di distanza racconta come ha vissuto (e come lei tutti i cantianesi) quelle terribili ore. Un racconto da leggere senza interruzioni con una mano sul cuore, quella mano che Cantiano ora chiede a tutti, cittadini e istituzioni. Tra l’altro, Eleonora e i figli momentaneamente non abitano più nella casa alluvionata, vista la inagibilità dell’edificio, e sono al momento ospiti di alcuni parenti a Roma. Mentre il marito sta dal padre a Cantiano. "È un giorno qualunque e sono andata a riprendere i bambini dai nonni – racconta Eleonora Masci – Siamo al buio da mezz’ora, è giovedì 15 settembre e sopra Cantiano, in poco più di 3 ore, è caduta la quantità di acqua che cade in sei mesi. In breve tempo sotto le nostre finestre non c’era più la strada ma un fiume di acqua e fango che con forza brutale porta via vasi, piante e sedie. Mentre intrattengo i bambini, Enrico preoccupato cerca di richiudere il portone delle scale ma un’auto sbatte contro la porta dandogli una grande spinta che lo fa cadere a terra, permettendo all’acqua di inondare ogni cosa".
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"Vedo il torrente portare via la mia auto insieme ad altre, persone aggrappate disperatamente ai cancelli, auto accatastate, gente angosciata assistere impaurita dalle proprie abitazioni. Mi viene da pensare che noi uomini che nel mondo abbiamo fatto e costruito tanto, che ci sentiamo padroni in grado di conquistarlo, abbiamo capito in poche ore quanto in realtà siamo piccoli e inutili difronte a quella natura così forte e ribelle che mai avevamo visto. Ed è stato questo il momento in cui io e Enrico ci siamo guardati con gli occhi lucidi e spaventati e ci siamo messi le mani tra i capelli. Cosa potevamo fare noi con due bambini piccoli? Paticamente niente. Se non continuare a ripetere che la casa è il posto più sicuro al mondo".
"Prendi i bambini e corri sulle camere!!" mi urla Enrico. Salgo di corsa le scale con una candela tremolante e li metto al sicuro nei loro lettini con le sbarre. Accendo qualche lucina a pile per rendere un po’ meno scuro quel buio totale. La pioggia cade talmente fitta da creare un rumore assordante, un frastuono incessante da non riuscire a parlare con i vicini, e al rumore delle gocce si unisce quello dei clacson delle auto assembrate. È una catastrofe. I telefoni sono fuori uso, non possiamo contattare nessuno. Il buio è sempre più fitto, non riusciamo a vedere nulla. Siamo completamente soli. I bambini piangono ma non so come tranquillizzarli perché sono più spaventata di loro. Nell’aria si sente un forte odore di gas, tubi e bombole distrutte e chiazze di benzina fuoriuscita galleggia sul fiume di detriti. La paura di un’esplosione è più forte dell’acqua. Arriva un’altra ondata. Questa volta è più forte, più alta, più scura. Raggiunge il metro e novanta. Solo un faro di un’auto, acceso miracolosamente, ci permette di non farci cadere in quel buio totale e senza fine. Il non vedere e il non sapere è peggio di qualsiasi consapevolezza. Quel piccolo faro forse era lì acceso solo per dirci non demordete, siate forti. C’è ancora speranza. L’acqua arriva al settimo scalino. Non può piovere per sempre! Io e Enrico iniziamo a sollevare e togliere ogni cosa da terra. Sedie, giocattoli, passeggini, scarpe. Decine di asciugamani ammucchiati a terra come se potessero impedire all’acqua, che con quella forza sovrumana stava distruggendo auto, strade, case e vite, di entrare nel nostro piccolo appartamento. Ci prendiamo per mano e ci abbracciamo. Poi improvvisamente il silenzio. Tuoni, lampi e pioggia ad un certo punto spariscono e tutta quell’acqua che era entrata nelle nostre vite senza chiedere permesso se ne è andata via in silenzio lasciando fango, alberi e detriti. È finito tutto. La strada dietro casa è crollata aprendo una voragine sopra le nostre finestre. Il fiume che per 60 anni è stato in silenzio scorrendo sotto i nostri piedi, si è ripreso la sua libertà là dove l’uomo aveva cercato di sigillare".