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Medici di famiglia. Sei rinviano la pensione. Al lavoro fino a 72 anni: "Salvi" 9mila pazienti

Lo fanno per scelta personale ma anche per necessità. Dario Bartolucci è uno di loro: "Carenza gravissima di camici bianchi". Un esercito di assistiti rischiava di restare senza dottore.

Medici di famiglia. Sei rinviano la pensione. Al lavoro fino a 72 anni: "Salvi" 9mila pazienti

Medici di famiglia. Sei rinviano la pensione. Al lavoro fino a 72 anni: "Salvi" 9mila pazienti

di Benedetta Iacomucci

Alcuni, di andare in pensione non avevano proprio voglia. Altri si sono messi una mano sulla coscienza. Permettendo così a circa 9mila persone di dormire sonni tranquilli. E’ questo infatti l’impatto della scelta che sei medici di medicina generale hanno preso negli ultimi mesi: rimanere in servizio fino a 72 anni, ritardando di due anni la pensione. E considerando che sono tutti massimalisti, ovvero arrivano a 1500 pazienti a testa, il beneficio riguarda migliaia di persone, quasi tutte dell’entroterra, dove trovare professionisti è sempre più difficile. I medici in questione sono: Rosita Stagnozzi (Petriano, distretto di Urbino), Anchise Enea (Comune di Pergola, distretto di Fano), Loris Ceccolini (Mercatino Conca, distretto di Urbino), Vittorio Pecorelli (Cagli, distretto di Urbino), Roberto Latessa (Piobbico, distretto di Urbino) e Dario Bartolucci (Petriano, distretto di Urbino), che è anche segretario della Fimmg, la Federazione dei medici di medicina generale.

Dottore, questa abnegazione è una scelta obbligata o libera?

"Io malgrado tutto ancora mi diverto a lavorare, mi piace e non mi sento di mettermi ’a riposo’, non saprei cosa fare. Però certo, c’è anche un po’ di spirito di servizio".

Molti suoi colleghi hanno fatto la stessa scelta. Pare evidente che nell’entroterra c’è un problema.

"L’entroterra ha una gravissima carenza di medici. Cosa che non accade sulla costa, dove infatti un collega ha chisto di rimanere in servizio ma non ha potuto, perché prima si devono riempire gli studi dei giovani medici che magari hanno solo 500 pazienti. Invece nelle aree interne si può, proprio perché sono zone disagiate, dove per esempio non ci sono farmacie che ti danno l’ambulatorio praticamente gratis. Se poi un medico è da solo è impossibile lavorare, deve avere la segretaria, l’infermiere. Ci sono costi maggiori e soprattutto oggigiorno c’è la possibilità di scegliere".

Ma esattamente, quanti medici mancano?

"Consideri che per un bacino di 330mila abitanti, come la provincia di Pesaro e Urbino, ci dovrebbero essere 330 medici. Una trentina ogni anno se ne va in pensione. Le borse di studio fino a qualche anno fa erano 25 per tutte le Marche, poi c’è stato il Decreto Calabria e l’iniziativa della Regione per aumentare le borse di studio. Così arriviamo a 80. Comunque non bastano a pareggiare il conto".

E quante domande sono arrivate?

"Quest’anno 180".

E i pazienti? Sono cambiati anche loro?

"La popolazione è molto anziana: quando ho iniziato a lavorare 40 anni fa mi occupavo di medicina per acuti, ora è per cronici. C’erano l’influenza, le polmoniti... Adesso c’è diabete, ipertensione, insufficienza renale. Tutte patologie croniche. Con pazienti che vanno gestiti".

Cosa lamentano perlopiù i suoi 1500 pazienti?

"Di non riuscire a prenotare visite ed esami. Ormai sono abituati ad andare dal privato, da medici che poi spesso sono gli stessi che lavorano nel pubblico".

Come se ne esce?

"Io penso che se da qui a qualche anno non ci si inventa qualche forma di incentivo economico per attrarre le professionalità, sarà molto dura".