Quando si parla di "caduta dell’Impero romano" si cita sempre la data del 476 d.C., la deposizione di Romolo Augusto, ultimo imperatore romano con sede a Ravenna. C’è del "razzismo" nella citazione (e scarso approfondimento), essa non tiene conto che a cessare fu, solamente, l’Impero d’Occidente. L’Impero romano d’Oriente continuò la sua parabola - con alti e bassi - sino al 1453, anno della presa di Costantinopoli (Istambul) da parte dei turchi di Maometto II. Alcuni storici, anche quotati, sostengono che una delle cause del fallimento dell’impero, in Occidente, fu la politica di rafforzamento della parte orientale dell’impero avviata da Diocleziano e poi maturata sotto Teodosio, con la divisione dell’impero in "parte orientale" e "parte occidentale". Parrebbe che, attraverso trame, "bizantinismi" e vari giochi di potere avviati già nel IV sec., la parte Orientale sia riuscita a spingere l’Occidente verso il baratro. È conclamato che l’Oriente manipolò i sovrani dei regni romano-barbarici occidentali per mantenere, in Occidente, uno scenario succube dell’Oriente. Occidente e Oriente, un gioco da fratelli coltelli. L’Impero d’Oriente, ridimensionato, sopravvisse mille anni alla caduta dell’Occidente e, per lungo tempo, fu indiscusso dominio di una dinastia: i Paleologhi (o Paleologi) che governarono dalla metà del XIII secolo sino alla fine; perché presero il potere in quel periodo? Il momento era critico per Costantinopoli, le Crociate avevano condotto in Oriente le brame di potere dei nobili occidentali che tramavano per rovesciare e incamerare l’Impero. Una città, in particolare, tentava la conquista dell’approdo sul Bosforo: era Venezia e quasi riuscì nell’impresa.
Daniele Sacco