Segue dalla prima
Per una città di provincia essere capitale della cultura a cento anni di distanza dal 1924 avrebbe dovuto significare, come minimo, provare a essere all’altezza di quei fatti e non invece, come mi pare dalla kermesse del MAXXI, assecondare i canoni del turismo di massa diventando una protesi dello svago e dell’intrattenimento televisivo trasfigurato in “natura della cultura”. In realtà tutto era chiaro dalle 60 pagine del ’meraviglioso’ progetto con cui Pesaro aveva sbaragliato la concorrenza un anno fa con la benedizione dell’allora ministro della cultura. Se qualcuno si aspettava qualche sussulto che andasse a rimuovere le pigrizie culturali di una città sempre più sonnolenta si stava sbagliando di grosso. Prego signori, accomodatevi in poltrona, accendete lo schermo, sintonizzatevi sul canale preferito e godetevi lo spettacolo. Le emozioni non mancheranno, né i buoni propositi con cui cercheremo tutti di essere solidali e sostenibili. Il convitato di pietra sarà proprio la cultura, nonostante lo sforzo di qualche figura volonterosa (e un po’ cortigiana) teso ad abbellire quello che, a prima vista, sembra il nulla. Capisco che è faticoso, ma essere un po’ meno provinciali dovrebbe significare alzare un po’ lo sguardo sul mondo e non subire passivamente le fascinazioni di una modernità che ci offre solo consumo, pure di bassa qualità. Dovrebbe significare attenzione al grande lavoro di diverse università americane impegnate nella costruzione di una cultura critica del digitale e una vera curiosità culturale (non solo geopolitica) per il sud del mondo interrogandosi al contempo sulla compatibilità tra sistema socio-economico e salvaguardia del pianeta e sulle ragioni vere della pace e della guerra. Dovrebbe significare non recintarsi nella monocultura rossiniana e aprirsi ad altri universi musicali, senza allestire un grande contenitore con dentro tutto e il contrario di tutto per valorizzare la specificità di ognuna dentro un quadro coerente di proposte: dalla storia alla letteratura, dall’impegno civile alla sensibilità ecologica. Dovrebbe significare valorizzare al massimo le istituzioni culturali della città a partire dalla loro identità e storia senza tante attrazioni ruffiane contestualmente all’esaltazione non estemporanea dell’altissimo livello di una risorsa come quella espressa da una concentrazione di illustratori che non esiste in nessun’altra città italiana. Ma chi progetta questi caravanserragli ha contezza di cos’è e cosa esprime questo territorio o ha una ricetta seriale, uguale per tutti i luoghi e per tutte le stagioni, da Bolzano a Capo Passero, passando per Matera e per Procida? Certo, ci vorrebbe la politica ma anche quella è ormai ridotta a un format televisivo.
Marco Savelli, ex assessore