L’ultimo spritz, e la città muore alle 6 di sera

Viaggio nel coprifuoco. Con aperitivi serviti in anticipo prima che calino serrande e desolazione: sembra di essere in un quadro di Hopper

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La sensazione è che ci sia un coprifuoco, anche se non c’è. Ma alle 18, quando si spengono le luci dei bar e dei locali, che proprio a quell’ora cominciavano a richiamare la gente uscita dal lavoro per il classico aperitivo e chiacchiere annesse, viene voglia di andare a casa. Perché l’avvilimento regna sovrano. In effetti non c’è l’obbligo di rientrare nelle proprie case, ma non essendo estate stare per strada senza potersi riparare da nessuna parte non è piacevole. Era questo che voleva il Dpcm, spingere la gente a non frequentarsi per evitare il più possibile i contatti e, con essi, il rischio di contagi. Quindi è stato efficace. Dall’altra parte ha ammazzato le relazioni sociali. Ieri abbiamo fatto un giro in città poco dopo le 18, le scene erano surreali: gli ultimi clienti escono di fretta dai bar per non prendere multe mentre le cameriere portano fuori la spazzatura e spengono le insegne. E piano piano il centro si spopola. Centralino e Caffè Barrier ci hanno provato a servire gli aperitivi in anticipo e fino alle 17,30 i tavolini in Piazza e sul Corso erano ancora pieni, soprattutto di ragazzi, gli adulti a quell’ora sono ancora negli uffici. Poi cala il buio: non solo perché l’ora solare ha accorciato le giornate, ma perché il gesto di tirar giù le serrande si propaga psicologicamente: è come dire che la giornata è finita.

Una sensazione di tristezza pervade i gestori dei locali che avevano costruito i loro piccoli successi puntando proprio sulla socialità fra le persone, facendole stare bene all’interno dei loro locali: "Ci dobbiamo reinventare - dice il titolare della Bottiglieria, in via Spada -. Apriamo dalle 11 alle 18, puntiamo sul pranzo e vediamo come va. Io ho ancora i debiti da pagare dell’altro lock-down, dire che sono preoccupato è dire poco". Mentre il gestore delle Vinerie Clandestine, in viale dei Partigiani, passeggia davanti al suo locale, desolatamente vuoto: "Per l’asporto posso tenere aperto anche dopo le 18, vendendo vino in bottiglia, ma qui non si vede anima viva". Via Cavour è una desolazione, con Falcioni, Salotto Cavour e Musa Rauka - i ritrovi più frequentati nella strada della movida - sbarrati. L’ultimo avamposto della città fantasma è Piada Marina: le luci accese del chiosco sembrano un faro nella notte per chi rientra in porto. Lo scenario è quello di un quadro di Hopper. C’è chi è in fila per la piadina: così, a casa, la cena saprà ancora dell’estate che è scappata via, lasciandoci di nuovo in compagnia del virus.

Elisabetta Ferri