RICCARDO PAOLO
Cronaca

L’enigmatica “E“ negli stemmi sugli edifici. Eugenio Beauharnais padrone di casa nostra

Il figliastro di Napoleone e vicerè d’Italia ebbe molta influenza sulla storia delle Marche. Ecco cosa ci lega alla sua figura

Il figliastro di Napoleone e vicerè d’Italia ebbe molta influenza sulla storia delle Marche. Ecco cosa ci lega alla sua figura

Il figliastro di Napoleone e vicerè d’Italia ebbe molta influenza sulla storia delle Marche. Ecco cosa ci lega alla sua figura

Uguccioni

Nelle campagne a volte si incontrano case con uno laterizio a forma di scudo, murato sulla porta, e lo scudo sormontato da una corona e talora da una data regge una E, che in realtà è una epsilon greca. Alcune di quelle case sono talvolta inglobate nelle periferie. È la E di Eugenio Beauharnais (1781-1824), figliastro di Napoleone e viceré d’Italia, e anche genero del re di Baviera. Buon amministratore e soldato valoroso (l’esercito italico al momento della caduta di Napoleone ancora difendeva sul Po e sul Mincio il cuore di quello che stato il regno d’Italia, il "bello italo regno" per dirla con il Foscolo), il congresso di Vienna gli riconobbe a titolo di proprietà enfiteurica lo stesso enorme appannaggio in beni immobili, di cui già godeva come viceré d’Italia: più di duemila poderi e più di cento palazzi, tutti all’interno dello Stato pontificio, credo quasi tutti nelle Marche.

Eugenio dopo la caduta di Napoleone ottiene dal re di Baviera il titolo di duca di Leuchtenberg, e quando nel 1824 muore gli succede il figlio Massimiliano, che vivrà a San Pietroburgo ma rimane proprietario dei beni detti "dell’Appannaggio". Le case dell’Appannaggio erano spesso costruite ex novo, altre volte erano case coloniche preesistenti riadattate, ma sempre contrassegnate dalla E. Di solito c’è anche una data, quella della costruzione (o ricostruzione). Ovviamente al papa non piaceva affatto quella specie di Stato nel suo Stato, una enfiteusi per la quale la Camera apostolica (in quanto "padrone diretto") riceveva 4.000 scudi annui, ma poi il padrone "utile" vi si muoveva in totale libertà. Per cui verso il 1845 Gregorio XVI se ne libera ricomperando tutto e rivendendo immediatamente quei beni – quasi in partita di giro – ai proprietari locali. Tra le ragioni di questa liquidazione c’è che l’Appannaggio era molto strutturato, con intendenti e sottintendenti: ed era, o era sentito, come potenziale canale per idee sovversive. Certo è che i beni dell’Appannaggio erano condotti in modo dinamico, avanzato, con investimenti di capitale: basti pensare alla costruzione di tante case coloniche “razionali“ e ancor oggi riconoscibili anche dallo stile.

Massimiliano di Leuchtenberg figura perfino tra i fondatori della Cassa di Risparmio di Pesaro, nel 1841. Massimiliano in realtà viveva a San Pietroburgo, avendo sposato Marija Nikolaevna, figlia dello zar Nicola I, ma il suo intendente generale, il cav. Roux de Damiani, da Ancona, trovando utile quell’iniziativa "bancaria" (che in realtà mirava ad alleviare la miseria attraverso il risparmio virtuoso) sottoscrisse una quota da 20 scudi, anche in questo dando prova di lungimiranza.

Chissà se sua altezza imperiale lo avrà mai saputo, fra le brume pietroburghesi che si levavano dalla Neva. Quando l’Appannaggio fu liquidato, tantissimi si affrettarono ad acquistarli e tra gli acquirenti locali spiccano i nomi di Ciacchi, Lugaresi, Mazzuccato, Mosca, Sponza, Stramigioli, Vaccaj, eccetera. La sede della sotto-intendenza di Pesaro era in quello che oggi è il palazzo Ricci, dove oggi fervono lavori di restauro. Lo chiamiamo così perché lo comperò Andrea Ricci nel 1847 per la ragguardevole somma di 13.250 scudi.