Lavoro, la grande fuga Oltre diecimila nel 2022 hanno dato le dimissioni "Cresce il precariato"

La fotografia della nostra provincia: il dato è in aumento del 17% rispetto al 2021. Poi ci sono i licenziamenti: 2700 nel 2022. Rossini (Cgil): "Il mercato detta certi trend, non le scelte personali" .

di Benedetta Iacomucci

Cosa c’è dietro la scelta, un tempo ’scandalosa’ ed oggi sempre più diffusa, di dimettersi dal proprio lavoro? In America lo chiamano "Great Resignation", o "Big quit". "La grande fuga", diremmo noi. D’altronde non bisogna guardare oltreoceano per coglierne i segnali. Nella nostra provincia nei primi nove mesi del 2022 (dati Istat) sono stati 10.199 i rapporti di lavoro cessati per dimissioni. Nello stesso periodo dell’anno precedente, erano stati 8.509: l’incremento segnato tra un anno e l’altro è del 17%. Per dirla in altri termini le dimissioni (10.199), subito dopo la scadenza del contratto (24.543 tra gennaio e settembre 2022), sono in provincia la seconda causa di cessazioni dei rapporti di lavoro, che in totale sono state nei primi nove mesi del 2022 ben 38.783 (nello stesso periodo dell’anno precedente erano state 32.952).

Ma non ci sono solo quelli che se ne vanno spontaneamente. Ci sono anche quelli che vengono accompagnati alla porta: i licenziati. Alcuni per motivi disciplinari (1.130), altri per motivi economici (1.581), per un totale di 2.711 lavoratori, che nel 2021 erano stati invece 1.847. Che la fuga sia dettata più da necessità che da libere scelte è convinto Roberto Rossini, segretario provinciale Cgil: "Credo sia l’effetto di un mercato del lavoro che è cambiato negli ultimi venti anni – osserva –, con forme contrattuali sempre più precarie che hanno ingenerato questo meccanismo. Inoltre negli ultimi due anni c’è stata una ripresa rispetto al covid, l’economia ha goduto del ’rimbalzo’ dopo lo stallo pandemico e c’è stata una ripresa, per cui le persone hanno avuto anche la possibilità di guardarsi attorno e scegliere. Ma sono comunque dinamiche dettate da un mercato del lavoro sempre più precario, non dalla libera volontà del lavoratore".

Libera volontà che però entra in gioco in altri contesti: "Certamente ci sono settori trainanti, come il manifatturiero, che si trovano in una fase espansiva. Le imprese si contendono le maestranze, che quindi possono permettersi di scegliere. Ma non è il fenomeno prevalente. Poi possono anche incidere dinamiche sociali, perché è vero che qualcuno dopo il Covid può aver riconsiderato il proprio equilibrio tra vita privata e professionale. Ma mi sembra difficile che questo sia alla base di una tendenza così massiccia".

Tornando alle maestranze contese, che innescano questo dinamismo nel mercato del lavoro, ma anche in considerazione di un diverso approccio rispetto al proprio tempo, Rossini fa una osservazione: "Quando gli imprenditori si lamentano perché non trovano lavoratori, dovrebbero ragionare sul fatto che ormai le nuove generazioni non guardano solo lo stipendio ma anche le condizioni di lavoro, la flessibilità... insomma, il potersi costruire una vita al di fuori del lavoro. La qualità della vita è importantissima per i giovani, e non solo, che si affacciano sul mercato del lavoro. Se hai un ciclo produttivo degli anni 80... dovresti quanto meno renderlo più appetibile. Di certo faresti meno fatica a trovare le maestranze. In Emilia Romagna operando sul ciclo produttivo e agendo sulla leva della flessibilità hanno cambiato molto la situazione. Da noi purtroppo le esperienze in questo senso sono ancora poche". Molto alto anche il dato sui licenziamenti: "Un effetto dello sblocco dei licenziamenti – conclude Rossini – dopo la fine della pandemia, ma anche delle norme contenute nel Job’s acts che li hanno resi più facili".