Pesaro, 4 maggio 2024 – “Siamo quelle che l’azienda ha fatto fuori perché davano fastidio. Più volte abbiamo segnalato ai nostri superiori le condizioni igieniche disastrose in cui ci trovavamo a lavorare.
Le sorelle che hanno denunciato: "Ecco le prove”
Cagliata scaduta da mesi e poi usata per la produzione delle mozzarelle: interi blocchi di cagliata mal conservati, aperti, che toccavano a terra. Bancali di prodotti tornavano indietro all’azienda, sottoforma di reso e, anziché essere buttati venivano riutilizzati per la produzione: venivano riaperti, puliti dalla muffa, riconfezionati e messi di nuovo in commercio. Stessa cosa per le mozzarelle.
Quelle che tornavano indietro venivano riaperte dalla loro confezione e rimescolate nel nuovo impasto. E poi c’erano trappole per i topi sopra le caciotte e all’interno delle celle frigo e vermi nei reparti".
C’è una linea sottile oltrepassata la quale non si torna più indietro ma si procede dritti senza voltarsi. Il racconto che riportiamo è quello di F.G. e S.G., due sorelle di Montemaggiore al Metauro, ex dipendenti di Fattorie Marchigiane, che quella sottile linea hanno deciso di oltrepassarla insieme. L’hanno fatto quando hanno presentato un esposto contro Fattorie Marchigiane alla Procura di Pesaro il 7 giugno scorso dove raccontano tutto ciò che hanno visto e gli elementi (foto e file audio) che hanno raccolto in tanti anni di servizio all’interno dell’azienda, riferendo anche atteggiamenti vessatori tipo "se vuoi lavorare devi fare così". E’ da questo passo deciso oltre la linea che la Procura di Pesaro ha aperto un fascicolo per il reato di stalking occupazionale (art. 612 bis del codice penale) che punisce la condotta di chi, datore di lavoro o colleghi, pone in essere atti molesti o persecutori.
Da una costola di questo procedimento, le cui indagini si sono concluse, è nata la maxi inchiesta che ha coinvolto l’azienda controllata del gruppo Tre Valli Cooperlat per adulterazione del prodotto e frode in commercio. Per le due sorelle è stato un salto nel buio. "E’ stato come correre a 180 chilometri all’ora verso un muro di cemento – raccontano -, ci faremo male e in parte ce lo stiamo già facendo. Viviamo nella paura di avere ripercussioni contro noi stesse. Ci è capitato anche di ascoltare un messaggio vocale che gira in una chat del lavoro in cui qualcuno augura il male alla nostra famiglia: ’morissero tutti, compresi i figli e i nipoti’. Abbiamo denunciato perché crediamo nella legge e contiamo di avere giustizia. Confidiamo che anche gli altri denuncino tali fatti".
"La nostra, dentro Fattorie Marchigiane, è un’esperienza pluridecennale – raccontano-. E’ dall’inizio degli anni ’90 che ci lavoriamo con contratti stagionali agricoli. Rapporti di lavoro che iniziano a gennaio e si chiudono a fine anno e che prevedono la possibilità di essere chiamate quando serve, in genere un paio di settimane al mese, entro un limite annuo massimo di giornate. Così è sempre stato fino all’inizio del 2023 quando non siamo state richiamate a lavorare e come noi altre 5 persone. Che prima a poi sarebbe capitato ce lo aspettavamo, tra l’altro la situazione è peggiorata dal 2022 con l’arrivo di nuovi capi reparto. Siamo state sempre quelle che pestavano i piedi, segnalando quello che non andava e in particolare le condizioni igieniche. Abbiamo più volte provato a contattare la sede principale di Jesi per un confronto e chiarimenti in merito alla mancata assunzione ma l’unica risposta che abbiamo ottenuto è stata ’la aggiorniamo appena possibile’. Eravamo vittime di mobbing e vessazioni perché denunciavamo quello che non andava".
E mentre le sorelle di Montemaggiore raccontano anche la voce si rompe e gli occhi si fanno lucidi. E’ necessario bere un sorso d’acqua prima di ricominciare. "Ci dicevano ’devi fare quello che dico io, senza sindacare’ – incalza una delle due sorelle -. Ci fu una volta in cui mi rifiutai di chiudere un formaggio andato a male, aveva un cattivo odore acido e la pasta era fradicia. Ci facevano firmare fogli di responsabilità con data, prodotto, lotto e firma di chi l’aveva fatta, così, in caso di problemi, si poteva risalire. E io quel foglio mi rifiutai di firmarlo. Nello stabilimento si produce mozzarella per le pizzerie, formaggi, casciotta di Urbino e le specialità di 180 grammi alle olive, alle noci e al tartufo e fino a un paio di anni fa anche ricotta. I resi tornavano: si riaprivano e si ributtavano su per fare altra mozzarella. Stessa cosa per le confezioni di formaggi da 180 grammi: ne tornavano indietro a bancali. Veniva riaperta la confezione, raschiata la muffa e reimbustati. Protestavamo con i responsabili che ci rispondevano ’se vuoi lavorare è così’: altrimenti venivi punita e invece di fare 2 o 3 settimane al mese facevi solo 2 o 3 giorni. Oppure ti declassavano. Mi sono trovata, gli ultimi tempi, a pulire la fossa del formaggio, che è la mansione che di solito si fa appena si inizia. Io ero lì da 30 anni".
E i controlli da parte degli enti esterni non mancavano ma "quando dovevano arrivare i controlli lo sapevamo un mese prima – incalzano le sorelle -. Quando sapevamo che dovevano arrivare quelli delle certificazioni si iniziava a pulire e a imbiancare 2 settimane prima tanto che durante le visite ancora si sentiva l’odore della vernice fresca. C’era una cella dove veniva messa tutta la roba scaduta, si metteva un cartello davanti con scritto ’cella spenta’ e per evitare che a qualcuno venisse in mente di aprirla si metteva davanti a quella cella anche una pila di cartoni".