L’Alluflon spa, la nota ditta di pentole, e i suoi dirigenti del 2019, sono accusati di inquinamento ambientale. In particolare di aver rilasciato una sostanza pericolosa nelle acque reflue dello stabilimento. Si tratta del Pfoa, legato al Teflon, per rendere le pentole antiaderenti. Per questo, la procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio per inquinamento ambientale di Michele Montagna, al tempo dirigente dell’azienda (ora di proprietà cinese), del figlio Matteo e del dirigente Giovanni Bruni, in qualità di rappresentanti dell’azienda. Ieri si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gup con rinvio a febbraio.
L’accertamento venne fatto nella sede dell’Alluflon quattro anni fa da parte dell’Arpam che rinvenne nelle acque di un pozzetto adibito alla raccolta dei reflui dei bagni aziendali questa sostanza altamente pericolosa. Sono state approfondite le ricerche ma senza trovare l’origine dello sversamento, se così si può definire. La tesi difensiva che era emersa giù durante l’indagine, è che quel prodotto, il Teflon e dunque il Pfoa, non viene più utilizzato dalla Alluflon da almeno 10 anni e quindi non è presente nelle fasi della verniciatura delle pentole. Per questo non poteva finire nelle condotte fognarie o nel sottosuolo. Eppure c’era e su questo dato incontrovertibile, la procura della Repubblica ha formato le sue accuse. Come possibile spiegazione, che è stata sostenuta dall’azienda nelle fasi di indagine, è che quel prodotto, il Pfoa, è particolarmente tenace e potrebbe essere rimasto nelle falde acquifere da molto tempo, ossia da quando era permesso il suo utilizzo per dare antiaderenza alle pentole. E da quel tempo, ha contaminato le falde acquifere, senza mai sciogliersi o disperdersi. In sostanza, sarebbe un inquinamento di vecchia data, da oltre 10 anni. Il che non fa stare più tranquilli chi abita vicino o utilizza le acque dei pozzi per annaffiare gli orti.
ro.da.