Fisicamente Liliana Segre non c’era, ma la sua figura e il suo carisma hanno emotivamente pervaso l’intera serata di ieri sera al Teatro Sperimentale, in chiusura della tre giorni finale di “Coltiva la Capitale“, ultimo lembo che ha sigillato definitivamente il 2024 pesarese vissuto per intero sulla ribalta nazionale. Da oggi siamo tornati normali.
Perno dell’appuntamento, tutto "volutamente e per scelta incentrato sulla pace e sulla speranza", come ha detto in apertura il sindaco Andrea Biancani, la proiezione del film documentario “Liliana“ del regista Ruggero Gabbai, anche lui salito sul palco prima della proiezione assieme al vicesindaco Daniele Vimini, al figlio della Segre Alberto Belli Paci, a Franco Vaccari, presidente di Rondine Cittadella della Pace, la località in provincia di Arezzo dove, come in una comunità terapeutica, con una permanenza di due anni si può “convivere“ con il nemico cercando di comprenderne le ragioni e e di farlo diventare un altro da te ma non uno da abbattere. A testimoniare un’esperienza del genere sul palco sono saliti anche due giovani, il georgiano Tornike e la serba Viktorjia.
Tutto molto gratificante, anche se la realtà dura e ottusa che ci circonda ancora una volta non tiene conto delle buone volontà e delle ottime intenzioni, tanto che – ha affermato il presidente di Rondine –, per la prima volta in oltre vent’anni non sono riusciti a mettere a confronto un israeliano e un palestinese. Nel 2020, proprio a Rondine Cittadella della Pace la senatrice Segre aveva affidato la sua memoria dopo i tanti anni durante i quali, con decisione presa dopo un lungo silenzio, aveva reso ininterrotta testimonianza degli orrori vissuti in campo di concentramento.
Nonostante la suggestione delle scene del film, specie di quelle dedicate al suo rapporto particolare con Pesaro di cui fra l’altro è Cittadina Onoraria, è difficile che su Liliana Segre possano venire alla luce novità e fatti che ormai non siano davanti agli occhi di ognuno di noi e tuttavia, dovendo scegliere un episodio da raccontare ai ragazzi d’oggi come cosa che potrebbero sentire sulla propria pelle, più di ogni altro legate alle nefandezze subite, spiccherebbe quello che lei stessa ha raccontato pacatamente nel filmato: era una ragazzina ed improvvisamente un mattino le hanno detto che non poteva più andare a scuola perché era un essere diverso e inferiore.
Per la verità bisogna pensarci un pochino su per poter collegare la chiusura dell’Anno della cultura, con relativo passaggio del pacchetto operativo ad Agrigento, con la scelta di una serata dedicata alla pace e alla speranza, argomenti abbastanza scontati e condivisibili anche troppo acriticamente. Forse l’aspettativa era che la senatrice sarebbe stata presente così come lo era stata alla cerimonia di apertura all’inizio dell’anno e quindi la chiusura del ciclo sarebbe stata perfetta. Ne è uscito un appuntamento come altri, con la presenza delle autorità, di una platea piena ma senza "sold out" da ressa, condotta con discrezione dalla giornalista Rai Marianna Aprile.
Franco Bertini