
Suasa è una curva, salendo la quale si entra in un angolo pavesiano, dove il sole batte, il vento soffia e la terra canta la sua litania. Suasa è un calanco dolce. Qui c’è l’azienda Bellaluce e si capisce perché: non c’è confine alla luminosità. Essa domina dal mare ai monti. Qui si adagiano vigne primordiali, protette ai lati da selve selvatiche, dai rovi domestici che i secoli lasciano crescere, come paramenti naturali. Qui è nato il biologico, senza nemmeno essere stato progettato: così, naturalmente oltre un secolo fa. Qui si stendono filari che non inciampano mai sulla zolla e che sembrano pettinati dagli elementi della natura e da essa concepiti: le api delle trenta arnie vicine impollinano ogni anno le viti, le ingravidano dando inizio al ciclo vitale che poi diventa vino. Elio Savelli, il titolare, non c’è più dal 2019 ma la sua presenza si percepisce ancora, perché questa terra bruma e ricca dentro era un po’ come la sua persona: vera. C’è però suo figlio Andrea Savelli che ha sempre seguito il padre nell’impresa di fare vini primitivi e che da medico si è trovato l’azienda in mano. Non a caso. Perché, come spiega, "la medicina estetica di cui mi occupo, in fondo è un’arte, come un’arte è fare vino". Andrea ci carica sulla sua jeep americana del 1944 che il babbo aveva conservato dopo l’avanzata degli americani verso la linea gotica. Farci un giro è come tornare a quegli anni. La jeep solca i fossi e costeggia i filari, senza sfiorarli, pare anch’essa un elemento della natura, perfettamente integrata. C’è il vigneto vecchio di cent’anni, con cloni di Sangiovese e Montepulciano irripetibili: la terra di questa vigna è bianca, quasi vissuta, come una nonna che stende il suo velo per narrare le storie. Vicino c’è un altro vigneto di 80 anni: Pecorino. Poi c’è il Biancame che è qui da 60 anni e ci sono altre uve, di Malvasia e ancora di Sangiovese e Montepulciano. In mezzo c’è il favino, concime naturale ricco di azoto, alimento prezioso per le viti, che viene falciato e lasciato nel campo perché nutra la terra. "Tutto qui è naturale e ogni stagione dice il suo vino, ogni anno diverso perché i venti, il sole, le piogge non sono mai le stesse. Bianchi in commercio dopo cinque anni, rossi dopo dieci", dice Andrea. Già, le piogge. Quando lasci fare alla natura, le cose vengono o naturalmente bene: qui l’acqua sta sotto alla vigna, nella falda, tra terreni di sabbia, arenaria e argilla: sapidità e finezza. Così il Bellaluce Marche Igp bianco ha una profondità vergine dove una mineralità dorata gioca con fragranze setose. Mentre il Castel Suasa Igp rosso ha balsami d’altura, speziatura finissima, profondità linfatica e verità metafisica come questo luogo sospeso nel tempo.
Davide Eusebi