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I coltelli con il biscione erano “made in Urbino“

I Visconti, oggi una rarità, sono stati prodotti nel centro storico. La fabbrica venne chiusa nel 1970: faceva troppo rumore

I coltelli con il biscione erano “made in Urbino“

di Giovanni Volponi

Pochissimi lo sanno, ma a Urbino si producevano coltelli. Vi era una rinomata fabbrica che operò per ben 63 anni, nel cuore del centro storico. E le lame d’acciaio urbinati venivano vendute in tutt’Italia.

"È una storia molto curiosa – spiega Massimo Volponi, che sul tema ha tenuto un incontro per la Pro Loco alcuni giorni fa – riscoperta da Augusto Calzini che poi vi ha scritto un libro. Io ho poi avuto il piacere di approfondire grazie ad alcune testimonianze dirette di qualche ex dipendente. Tutto inizia nel 1907 quando gli imprenditori Fantoni di Padova e Ruggeri di Pesaro decidono di aprire una fabbrica in alcuni ambienti dell’ex convento di san Francesco, in comodato gratuito dal Comune. La piccola industria, che aveva l’ingresso nella piazzetta tra l’orto botanico e le poste, lavorava l’acciaio per produrre coltelli, forbici, pugnali, apriscatole, e schiaccianoci".

I locali erano su due piani, per circa 800 metri quadrati. Nel corso degli anni, prima Fantoni lascia la società interamente ai Ruggeri, e poi viene rilevata da un imprenditore di Como, un tale Visconti. Gli operai aumentano, la fabbrica lavora bene. Ma sorge un problema: "Il grosso e pesante maglio, una specie di gigantesco martello di ferro di 250 chili – prosegue Volponi – che percuoteva l’acciaio per sagomare i prodotti, procurava oltre al rumore fortissime scosse al terreno che causavano vibrazioni fino a via Battisti, con lamentele dei residenti. Siamo negli anni ’60: tra avvocati, prefetto, questore e comune, si prospetta il trasferimento della ditta nella nascente zona industriale del Sasso, ma il Visconti rifiuta, anzi riduce il personale a circa 20 operai, elimina la produzione delle forbici, cambia il maglio con uno più piccolo e la ditta da industriale diviene artigianale. Il comune dovette anche indennizzare economicamente tre famiglie".

Nel frattempo l’Università di Urbino preme sull’amministrazione per ottenere i locali della fabbrica dei coltelli. Il Visconti allora ci ripensa e detta le condizioni, minacciando di chiudere l’attività in caso non vengano accettate: sì al trasferimento, ma a condizione di costruire un nuovo capannone di 600 mq con telefono, acqua corrente, impianto elettrico a norma, tettoia per automezzi, impianto di aerazione, il tutto a spese del Comune. Ma a questo punto il sindaco Mascioli oppone un no e la Fabbrica di Coltelli Visconti chiude i battenti nel febbraio 1970. Nei locali arriverà prima l’Università, e poi la Scuola del Libro. Tra i pochi ex operai viventi di questa azienda dimenticata Egidio Piergiovanni, residente a Gadana, ha preso parte all’incontro: "Chiusi io la porta l’ultimo giorno di lavoro, con dispiacere. Eppure oggi le condizioni di lavoro paiono assurde: vibrazioni incredibili, lo spostamento d’aria del pesante maglio, rumori assordanti; polveri tossiche oscuravano le stanze, perché l’aspiratore c’era ma non funzionava mai. Non c’era nemmeno l’acqua corrente. La paga era davvero misera, io prendevo intorno alle 40mila lire nel 1965, ma non ci si lamentava: era già una fortuna poter lavorare. Bronchite cronica, sordità, dermatiti, malattie reumatiche e ai reni sono solo alcune delle patologie che i miei colleghi hanno riscontrato durante e dopo il lavoro in fabbrica".

Sicuramente altri tempi, eppure ancora qualcuno ha in cucina una stoviglia con la stampa “martellato garantito“, con un biscione stilizzato, stemma del proprietario Visconti: ecco, quel coltello viene da Urbino.