REDAZIONE PESARO

I calzini bianchi del "matto buono": ricordi di un'infanzia con nonno Enea

Un viaggio nei ricordi d'infanzia con nonno Enea e il "matto buono" dai calzini bianchi, tra storie di famiglia e tradizioni.

Un viaggio nei ricordi d'infanzia con nonno Enea e il "matto buono" dai calzini bianchi, tra storie di famiglia e tradizioni.

Un viaggio nei ricordi d'infanzia con nonno Enea e il "matto buono" dai calzini bianchi, tra storie di famiglia e tradizioni.

Quando mi presentai per la prima volta coi calzini bianchi usati per giocare i miei non ebbero dubbi: ero matto. Perché allora i calzetti bianchi li avevano "sol i mat del manicòmi". Lo sapeva bene mio nonno Enea Bertini, classe 1878, mazziniano, pasqualoniano e corista del Rossini, orologio con catena dorata nel taschino del gilet, coltellino multiuso in tasca e soprattutto infermiere dello storico ospedale psichiatrico "San Benedetto" (nella foto).

Un giorno un matto aveva lanciato una cassetta di posate colpendo in faccia Enea, che ci rimise un occhio. Venne destinato ai servizi sedentari fra cui accompagnare un "matto buono" nella consegna della legna da ardere nel camino o nella stufa, fornitura annuale prevista per il personale dipendente. La prima "carrettata" arrivava agli inizi d’autunno, la seconda in questi tempi prenatalizi. A tirare la carretta di "breghe" era il "matto buono" che, come tutti i matti che si rispettano, portava, cosa mai vista, i calzini bianchi; mio nonno lo seguiva lentamente in bicicletta per le strade allora deserte della città fino a casa del destinatario.

Spesso, seduto come un signore in cima alla legna, sulla carretta c’ero anch’io. Da casa al gran cancello del manicomio su via Massimi c’erano cento metri, aspettavo che carretta, nonno e "matto buono" coi calzini bianchi uscissero e montavo su per il fantastico giro turistico. Mai avrei pensato che anni dopo i calzini bianchi li avrei indossati anch’io con le scarpe da basket fra lo stupore della famiglia che all’inizio quasi si vergognava come se andassi in giro in mutande. Solo mio nonno Enea, abituato coi matti, non commentava, era mio complice.

Finita la cena, col suo magico coltellino sbucciava una mela e me ne dava uno spicchio, poi, da patriarca, si alzava e andava nel suo lettone con la papalina in testa per il freddo. E l’occhio di vetro in un bicchier d’acqua sul comodino. "Grazie nonno, buona notte", e pensavo ai calzini bianchi del "matto buono".

f.b.