di Franco Bertini
Dottor Gianfranco Mariotti, carico di vita e d’onori stasera lei sale sul palco cittadino per cose che ha realizzato per quasi quarant’anni di fila. Non potevano pensarci prima visto che è arrivato a 90 anni?
"Questa domanda non deve farla a me. Non ci pensavo più. E’ la prima volta dopo sei anni che qualcuno parla del mio lavoro". Ha preparato un discorso per stasera?
"No, non voglio tediare nessuno, il mio lavoro lo conosco e lo conoscono, l’ho fatto per 38 anni".
Se un quindicenne pesarese mi chiede ma chi è ‘sto Mariotti, che devo rispondere?
"Che è uno che ha sempre lavorato duro, che ha fatto 3 o 4 mestieri senza mai andare in ferie e che ha inventato il Rof, grande spinta per la città".
Ha mai pensato che sarebbe finita con un palco in piazza?
"In piazza francamente mai". Ma il suo silenzio di questi ultimi anni è un po’ come quello di Rossini?
"Assolutamente no, io non sono in guerra con nessuno, lui lo era con tutti. Il suo era un silenzio armato perché non condivideva la cultura della sua epoca".
Senta questa: Luca Ronconi, giugno 1933, Claudio Abbado, marzo 1933, Gianfranco Mariotti, giugno 1933. E’ una triade che le va a genio o no?
"Sono sempre andato pienamente d’accordo con loro, mai uno screzio ho ancora una foto a tavola del 1984, era il tempo del ‘Viaggio a Reims’, una delle produzioni più importanti del Rof".
Lei ha detto che per Rossini è come per Mozart, Shakespeare, Leonardo: anche se sono finite le edizioni critiche lo studio può continuare per sempre.
"E’ così, lo studio delle partiture di Rossini, come quelle di Mozart, non finisce mai".
E questo suo figlio Michele che sguazza sul podio come un pesce nato?
"Lui è nato con un disperato bisogno di dirigere, credo che mi possa essere debitore della voglia di lavorare".
Perché gli stranieri amano il Rof più degli italiani?
"Perché sono capaci di vederlo come una manifestazione che è già internazionale in sé, la riconoscono come tale rispetto ad altre".
E invece i pesaresi?
"Non lo snobbano, ne sono orgogliosi, ma gli stranieri hanno una motivazione in più".
Lei ha fatto come Cincinnato, si è ritirato in campagna dopo aver combattuto per la patria. "Ma no, avevo da anni una casa in campagna che per poche centinaia di metri è in comune di Fano, ma tutta la mia vita gravita sempre su Pesaro".
Le resta però il grande rimpianto di non avere avuto a Pesaro Leonard Bernstein a dirigere Rossini.
"Lei come lo sa? E’ vero, avevo contattato il suo manager, ma Bernstein morì poco dopo. Ci avrebbe dato un Rossini stupefacente".
Lei ha sempre amato lo sport: un bel gesto atletico è come un accordo musicale riuscito?
"Assolutamente sì, me ne ricordo anche qualcuno dei suoi... e anche di Daye e di Magnifico". Come definirebbe la giornata di oggi?
"Consolante, mi sento vicino ai miei concittadini e quindi mi sento parte di una collettività condivisa. E’ una giornata bella e gratificante per me".