GIORGIO GUIDELLI
Cronaca

Fabio Renzi, musica e lacrime nell’ultimo sabato con 'Puntone'

Sul campetto di Cristo Re l’omaggio. Il ricordo di amici e colleghi, le note di Bruce Springsteen e striscioni in suo onore

Il funerale di Fabio Renzi 'Puntone'

Pesaro, 8 novembre 2020 - Qualcosa è cambiato. Ma anche no. Perché sabato era sabato. La musica suonava. Gli amici c’erano tutti. Anzi, di più. Le bandiere c’erano. I colori biancorossi, pure. I ‘don’, tutti. E il ‘Cristo’ non si vedeva così dagli anni Ottanta. Dalle feste di Carnevale nelle stanze umide, forse. Coi grandi e i piccoli sullo stesso cemento. E la stessa diga generazionale. 

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‘Puntone’ non avrebbe di che rammaricarsi. Anche perché, come l’altra sera, erano tutti sotto casa sua. Solo che, ’sto giro, Bruce Springsteen non ha smesso un attimo di cantare per fargli festa. E, per una volta, i ruoli si sono ribaltati: perché è stato Fabio Renzi a diventare il primo attore sul palco. Chiuso attorno al cerchio degli amici d’una vita, tra i quattromila cantoni di un percorso lungo mille miglia: tra Milano, Pesaro e persino gli States. Sul campetto c’erano anche quelli più ‘piccoli’ ad omaggiarlo.

E tutto l’arcobaleno delle ‘compagnie’ pesaresi. Anche quella che viene dall’altra parte di viale Battisti, del Porto, che al Cristo Re è legato da un lungo e sottile cordone ombelicale. Così, mentre lì, tra la nazionale e i viali del mare, risuonano le pacate parole del ‘Dongio’ Paolini, si sentono anche ‘The River’, ‘Born to run’, ‘Bobby Jean’, ‘Dancing in the dark’ e tutto quello che il bendidio del sound ha creato su questa faccia della terra. Anzi, del cemento del campetto.

Dove, stavolta, non sono piantati i piedi di ’Puntone’ ma un feretro che pare ballare e cantare con gli amici, vestito d’ogni ricordo, con un vessillo biancorosso. E, là sopra, tutti gli striscioni della nuova e vecchia Pesaro dello sport e della curva vissina. Degli amici, semplicemente. In pole anche i colleghi di lavoro di Fabio Renzi e un altro dei ragazzi del campetto, Massimo Ambrosini. Che ha narrato le forche caudine d’ogni pivello a Cristo Re: dover passare tra i ‘grandi’, conquistarsene la fiducia e poi l’amicizia che non muore mai, quella di ‘Puntone’, sua guida a Milano, anche nei primi anni con una delle maglie più importanti del globo. Poi c’è don Walter.

E quel racconto della palla che sul campetto, sotto gli uffici parrocchiali, faceva un casino boia. Del sacerdote che s’affaccia, incavolato. E del fisicone di Fabio, che lo saluta: «Ciao don». E quel ‘don’ che diventa amicizia per la pelle. Perché da quel cemento sono nati fior fiori di amicizie. E fior fiori di ragazzi, come ‘Puntone’. Amicizie che fanno cerchio attorno a quella bara. Abbracciate. La fissano. Come in un sabato pomeriggio qualunque. Discorrendo della Vis, del basket, dell’‘Oh, ragazzi, che si fa domani’.

Di scampoli di anni avvoltolati sotto quei palazzi o poche centinaia di metri più in là.  Dopo quasi un paio d’ore di commemorazione, l’auto con Fabio imbocca viale Battisti. Gli amici lo vedono passare. Ma nessuno può chiedergli di fermarsi a fare due chiacchiere. Manco sulla Vis o sulla Vuelle in questi strani giorni di campionati. E manco sul rugby. Il campetto spopola. Sventolano i lembi degli striscioni. Restano i canestri fissi come totem, col buio che riprende il suo posto, dove la compagnia del ‘Cristo’ da sempre fissa il suo habitat. Ma qualcosa è cambiato. Anche sì. E non sarà mai più come prima.