REDAZIONE PESARO

Esercizio fisico in carcere, Urbino fa la storia

Presentati i risultati di 22 anni di ricerca sul campo. Il prof Ario Federici: "Il lavoro fatto da nostri ragazzi. E’ stato un cammino lunghissimo"

Presentati i risultati di 22 anni di ricerca sul campo. Il prof Ario Federici: "Il lavoro fatto da nostri ragazzi. E’ stato un cammino lunghissimo"

Presentati i risultati di 22 anni di ricerca sul campo. Il prof Ario Federici: "Il lavoro fatto da nostri ragazzi. E’ stato un cammino lunghissimo"

Quando, nel 2002, un gruppo di docenti della neonata Scienze motorie dell’Università di Urbino lanciò un progetto per inserire l’esercizio fisico per i detenuti nel carcere di Fossombrone, le certezze di riuscita erano poche e le notti insonni tante.

A giudicare da quanto fosse gremita l’aula 1 del Petriccio che ieri ha accolto la presentazione dei risultati di 22 anni di ricerca, i suoi frutti sono tangibili e concreti. “Una visione di speranza“ era il titolo dell’evento, che è stato anche un modo per celebrare la carriera del professor Ario Federici, responsabile del progetto fino al proprio pensionamento, lo scorso 1° novembre, e tra i suoi ideatori, insieme a colleghi come Marco Rocchi, oggi direttore del Dipartimento di Scienze biomolecolari. Tale ricerca ha coinvolto oltre 100 tra studenti e studentesse, alcuni poi diventati docenti, come Silvia Bellagamba, che ha tenuto una relazione sull’attività svolta: "Quando entrammo avevamo sentimenti contrastanti, ma c’era il desiderio di raggiungere gli obiettivi. Grazie alla collaborazione dei detenuti, che ci hanno sempre rispettato, e delle guardie penitenziarie, lo abbiamo potuto fare. Mi auguro che ci siano sempre più iniziative del genere e che la nostra figura sia istituzionalizzata, per diventare parte costante della loro rieducazione".

Proprio rieducazione e speranza sono stati i fili conduttori degli interventi della mattinata, a cominciare da quello di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che Federici ha indicato come ispiratore del progetto. Assente per motivi di salute, ha inviato una lettera letta dal rettore, Giorgio Calcagnini, in cui ha spiegato come "l’esperienza in carcere dovrebbe essere più che mai dinamica, capace di cambiare le persone nel profondo, restituendole alla vita sociale più consapevoli e responsabili".

Tra i relatori ci sono stati anche Marco Rocchi, che ha citato tra gli ispiratori del progetto il maestro Tito Danti, Fabio Musso, prorettore alla Terza missione, Giuseppe Paolini, presidente della Provincia, Fabio Luna, presidente del Coni Marche (che negli ultimi tre anni ha sostenuto economicamente il progetto, insieme a Uisp), l’assessore Gian Franco Fedrigucci, don Daniele Brivio, vicario dell’Arcidiocesi, Piero Sestili, presidente della Scuola di Scienze motorie, e Daniela Minelli, direttrice del carcere forsempronese.

Poi è toccato a Federici: "Io sono stato l’asta di una bandiera, il vessillo sono stati miei ragazzi. Ho solo cercato di motivarli. È stato un cammino lunghissimo, ma nessuno potrà cancellarlo". Poi il racconto si è trasformato in una sorta di lezione, spiegando gli aspetti emersi, ma con una nota: "Negli anni abbiamo capito che non avremmo dovuto inseguire la pubblicazione di articoli a tutti i costi, ma rivolgerci alle singole persone in difficoltà. L’ateneo non poteva essere solo ricerca. Alla fine, nel 2010 arrivo la Terza missione: non più un’università chiusa in laboratorio, ma che porta la propria luce fuori. Non so se siamo riusciti a dare speranza, ma ci abbiamo provato".

Infine, Paolo Ottaviani ha letto il messaggio che suo padre Giuseppe, atleta ultracentenario, aveva portato ai detenuti quando era stato invitato a Fossombrone, e Fiorella Pizzulli, laureata di Scienze motorie e per cinque anni attiva nel progetto, ha letto il contributo inviato da un carcerato. Progetto che Federici spera non si chiuda qui, ma sia preso in mano e portato avanti dai suoi colleghi.

Nicola Petricca