CLAUDIO SALVI
Cronaca

’Ermione’, il capolavoro dimenticato. Mariotti: "Rossini troppo avanti. Per questo l’opera non fu capita"

Il direttore d’orchestra sull’opera meno compresa del Cigno. Sul palco, questa sera, le star Bartoli e Florez

Il Maestro Michele Mariotti

Il Maestro Michele Mariotti

Un ritorno atteso quello di Michele Mariotti che torna finalmente a Pesaro a dirigere un’opera dopo la parentesi dello scorso anno con la Petite Messe Solennelle. Ed eccolo dunque sul podio di Ermione (stasera alle 20 all’Arena) alla guida dell’Orchestra Sinfonica nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso con un super cast di cantanti.

Mariotti, sappiamo che a lei non piacciono affatto le cose semplici. Ma perché ha accettato di dirigere Ermione?

"Perché è un vero capolavoro. Le confesso che dopo aver diretto Semiramide (Rof 2019 ndr), ho detto espressamente a Palacio che sarei tornato a Pesaro, ma solo per dirigere Ermione".

Perché è un capolavoro secondo lei?

"Insieme al Guillaume Tell è un’opera di svolta, un’opera dove Rossini guarda al futuro. Già il Tell è preromantico ma qui ci sono davvero tutti i semi della modernità di Rossini. Un Rossini che non si volta indietro e che decide di rompere con le forme classiche. Basti pensare alla sinfonia che ad un certo punto viene interrotta dal coro, ai cambi continui, ai rovesciamenti di fronte oppure ad un duetto che ad un certo punto si sgretola. Ecco era un Rossini che rompeva definitivamente con gli schemi classici. E forse anche per questo all’epoca non fu capito e l’opera non ebbe successo".

E infatti è tra i titoli rimasti a lungo nell’ombra.

"Era troppo avanti anche per l’epoca. Nella gran scena di Ermione ad esempio, c’è un cambio continuo di situazioni con una donna che in un attimo passa dalla rabbia alla dolcezza. Rossini che fa? Segue questa mutevolezza. Inizia con un’idea che poi non sviluppa, poi la cambia e crea incertezza, instabilità. All’epoca lo stesso Rossini disse che quel pubblico, letteralmente spiazzato dalla sua partitura, l’avrebbe capita solo in seguito magari dopo 3 o 4 anni".

Un cast di super cantanti. Come ha lavorato con loro e in particolare con Anastasia Bartoli?

"Come faccio solitamente; con grande scrupolo e attenzione a quel che è scritto. Con la Bartoli abbiamo lavorato sui colori, sulla pronuncia, sui contrasti. Le ho chiesto nell’aria principale di usare le parole come recitare un testo teatrale. E’ una donna che passa dalla rabbia alla dolcezza; è una tigre ma anche una donna che piange e soffre per questo è importante anche ’cantare’ le pause in un canto... spezzato. Insomma si è fatto tanto lavoro di cesello".

Tanto lavoro anche con la regia?

"Ma questo regista (Johannes Erath ndr), ama la musica: è da sempre la sua cifra. Un esempio? In un passaggio ho chiesto al coro che da ’violento’ passasse a ’lamentoso’ e lui, convinto da questa scelta è venuto da me dicendomi: cambio subito le luci".

Lei e la Sinfonica della Rai, una sicurezza…

"Sono grandi musicisti. E loro amano quest’opera, me lo hanno detto più volte. Poi con un cast così è tutto molto naturale".

Si parla tanto di Rof in centro ma lei è tra i grandi fan della Vitrifrigo Arena.

"E lo rivendico. In Arena si lavora benissimo. Non è solo per questo grande palcoscenico ma perché ci sono gli spazi giusti per tutti. E poi mi lasci dire che l’acustica funziona benissimo; basta lavorare sui bilanciamenti di suono tra orchestra e voci".