Pesaro, 25 febbraio 2021 - Era lì quando tutto cominciava. A poco meno di 18 chilometri da Codogno, dove il 21 febbraio sarebbe emerso il primo caso di contagio da Covid-19, e che il 23 febbraio sarebbe diventata zona rossa. Ma per lui era cominciato tutto molto prima, già il 17 febbraio, quando i sintomi pesanti del Covid si erano affacciati nella sua vita, lasciandolo in balia di qualcosa che ancora non si era in grado di descrivere compiutamente. Lui è Michele Lamberta, 29 anni, residente a Piacenza e prima a Vallefoglia, dove vive la sua famiglia dal 2000, dopo essersi trasferita dalla Basilicata. E’ il Paziente 1 delle Marche, un primato a cui non tiene particolarmente, che anzi vorrebbe lasciarsi alle spalle, come le sofferenze fisiche ed emotive che ne sono derivate.
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Michele, lei era a Piacenza quando tutto iniziava. Soprattutto era lì quando non si sapeva bene cosa sarebbe cominciato. "Sì, ero a Piacenza perché vivo lì dal 2018. Dopo lo scientifico a Pesaro e la laurea in Ingegneria civile a Bologna ho subito trovato lavoro. Sono sviluppatore immobiliare a Somaglia, in provincia di Lodi, per una azienda della grande distribuzione. I miei vivono a Vallefoglia".
Il virus stava dilagando in quelle zone, anche se ancora non se ne aveva contezza. Che ricordi ha? "In realtà pochi, perché mi sono ammalato subito e a differenza dei miei colleghi non ho vissuto certe situazioni paradossali, anche sul lavoro. Ho cominciato a stare male già dal 17 febbraio".
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Che sintomi aveva? "Febbre altissima, sui 39,5/40. Non riuscivo a respirare. Al punto che il 18 sono andato in ospedale a Piacenza".
Qualcuno l’assisteva? "La mia compagna mi è stata vicina, ma non abita con me. Vivo da solo".
All’ospedale qual era la situazione? "I tamponi non si facevano. Però c’erano già guanti e mascherine tra i sanitari. Al Triage mi chiesero se avessi avuto contatti con persone rientrate dalla Cina, perché allora era quello il criterio. Io incontro per lavoro centinaia di persone a settimana, era una domanda a cui non potevo rispondere con certezza".
E quindi le fecero il tampone? Se l’avessero fatto sarebbe stato il paziente 1 in Italia, dato che il primo caso fu diagnosticato 4 giorni dopo. "No, nessun tampone. Mi rimandarono a casa con una diagnosi di laringite acuta dopo avermi fatto scendere la febbre. Mi dissero di continuare la terapia a casa con Tachifludek, ma appena rientrai la temperatura salì di nuovo a 40. Con una tosse pesantissima che non mi faceva chiudere occhio. Credo di non aver dormito per almeno dieci notti di fila. Avevo la polmonite. Nel frattempo stavano chiudendo Piacenza".
E lei cos’ha fatto? "Ero solo, stavo malissimo. Non ho visto altra soluzione se non mettermi in auto e tornare dalla mia famiglia, per un aiuto".
Lei non sapeva ancora di avere il Covid. "No, infatti. Però comunque mi chiusi in camera, mio padre e mia sorella si trasferirono in un altro alloggio e mia madre restò ad accudirmi".
Le sue condizioni quali erano? "Non buone. Ho chiamato l’Asl svariate volte implorandoli di farmi il tampone. Alla fine, il 25, sono venuti. La diagnosi è arrivata la sera stessa... insieme un’ambulanza che mi trasferiva ad Ancona, perché ero il caso 1 delle Marche e quello era l’unico ospedale attrezzato. Mi misero in una stanza singola nel reparto di Malattie infettive, poi il reparto cominciò a riempirsi".
Che ricordi ha? "Ero isolato in camera, per fortuna mi ero portato l’Ipad con cui mi tenevo aggiornato su quanto accadeva fuori. Sentivo il movimento delle barelle in corsia che aumentava, poi arrivarono altri pazienti in camera con me, che lentamente miglioravo. Finché, dopo 15/20 giorni, benché ancora positivo, mi hanno rimandato a casa. Il reparto si stava saturando".
A casa continuava a stare isolato? "Sì, sono rimasto in isolamento finché non ho avuto il doppio tampone positivo. Ma ce ne sono voluti almeno 7 per arrivarci. Era aprile quando sono potuto uscire e tornare a Piacenza".
Com’è stato rientrare? "Ero partito che era ancora tutto ’normale’, sono rientrato che era tutto chiuso. Come tutti mi sono dovuto adeguare, e comunque so di essere stato fortunato. Mi è dispiaciuta solo una cosa: alcuni miei concittadini hanno parlato di me come se fossi tornato per infettarli. Ogni tanto qualcuno riferiva di avermi visto in giro per Pesaro, a divertirmi, senza mascherina. Non era assolutamente vero. E’ stato brutto anche per la mia famiglia, che per fortuna non è stata contagiata, ma ha patito questa situazione".