Pesaro, 24 febbraio 2022 - Due anni di Covid, cinque varianti, quattro diverse ondate. Ma quando devi dire a qualcuno che è meglio che chiami a casa, che forse non ci saranno altre possibilità, l’esperienza conta poco. "Il momento più straziante che ho vissuto è stato due mesi fa, nel dicembre scorso.
C’era una donna di 66 anni, praticamente l’età di mia madre. Sembrava non farcela. Le abbiamo detto la verità, come abbiamo sempre fatto con tutti i pazienti. E cioè che era il caso che chiamasse la figlia, che facesse quella fatidica telefonata. Lei ha capito, si è fatta forza. Non voleva piangere, per non addolorarla ancora di più. Lo stesso faceva la figlia, dall’altra parte. Tutte e due a far finta di non piangere. E noi, dietro le mascherine, con loro".
Federica Bastianoni, 41 anni a luglio, è un’infermiera del reparto di Medicina subintensiva a Marche Nord. Ha vissuto gli ultimi due anni sempre in corsia, dal primo momento – quando il 25 luglio emerse nelle Marche il paziente 1, Michele Lamberta – fino alle ultime battute della quarta ondata. Sempre fianco a fianco con i colleghi del reparto, capeggiati dall’infaticabile caposala Cinzia Benedetti. "Due anni fa, quando eravamo ancora a Fano, dove si trovava la Medicina 3 – racconta Federica – ricordo che vivevamo come in un’attesa. Sapevamo che qualcosa sarebbe successo prima o poi, seguivamo le notizie che arrivavano da Codogno... ma non avevamo ancora ben chiari i contorni di questa emergenza".
E’ il 13 marzo quando arriva la ’chiamata alle armi’: "Ci ritroviamo con le colleghe e i colleghi di una vita, senza riuscire a riconoscerci neanche più – racconta –. Ma da subito ci sentiamo parte di una squadra, pronti per una missione che non possiamo fallire". E’ la prima ondata: feroce, ma breve. La vicinanza con la bella stagione accorcia la vita del virus, ma l’euforia dell’estate si spegne a ottobre, con la ricomparsa dei primi casi. "Avevamo più esperienza, più autonomia. Ma anche più stanchezza addosso". Poi ci sono una terza e una quarta ondata. I reparti si svuotano e si riempiono con un moto continuo di cui non si vede la fine. "I pazienti ci domandavano: ma quanto dura? Ma si guarisce? Le terapie funzionano? E noi dicevamo a tutti: certo, con calma passerà anche questa".
Ai timori si aggiungono timori, quando i non vaccinati cominciano ad affollare i reparti (la percentuale dei non vaccinati in Subintensiva è sempre stata intorno al 60/65%, mentre in Terapia intensiva ha toccato anche l’80%). "Succedeva che arrivassero persone che per vari motivi non avevano voluto vaccinarsi, e si erano creati il pregiudizio che avrebbero ricevuto un trattamento peggiore degli altri. Ovviamente un’assurdità: noi infermieri nemmeno lo sappiamo se un paziente è vaccinato o meno. Quello che possiamo dire, è che senz’altro i casi più critici hanno riguardato persone non vaccinate, che da questo punto di vista, malgrado la Omicron sia stata meno aggressiva, non erano affatto diversi dai casi critici delle precedenti ondate".
E quella signora che telefonava alla figlia? "Poi è uscita dalla Terapia intensiva, guarita. E’ a casa sua, a Colli al Metauro".