GIORGIO
Cronaca

Con Roma bisogna vincere. Mainieri: "Così si ricompatta il pubblico deluso di Pesaro"

L'ex giocatore Pino Mainieri analizza la finale tra Loreto e Us Basket Pesaro con occhio tecnico e sociologico, sottolineando la storia e l'importanza delle radici locali nel basket. Sottolinea la mancanza di sostegno alle parrocchie e ai giovani talenti nel professionismo attuale. La finale rappresenta un momento di ricompattamento per il pubblico deluso di Pesaro.

Con Roma bisogna vincere. Mainieri: "Così si ricompatta il pubblico deluso di Pesaro"

Con Roma bisogna vincere. Mainieri: "Così si ricompatta il pubblico deluso di Pesaro"

Guidelli

Non acido. E neanche dolce. Solo neutrale. Pino Mainieri, ex Delfino basket, agiografo delle sacre vite di tonache e canestri pesaresi, guarda al ’partitone’ di oggi con occhi tecnici, manageriali e sociologici.

"Conosco la forza del Loreto, difficilmente mollerà. Potrebbe ribaltare tutto. Però è un terno al lotto, se la può giocare. Ma se poi va a Roma, avrà un pubblico enorme davanti. Mi auguro che oggi ci sia tanta gente. L’anno dello spareggio con la Biesse, quello per la B d’Eccellenza, c’erano 4500 spettatori. Il Loreto è una brutta bestia, ce la può fare".

Sì, ma la Biesse, cioè l’Us Basket Pesaro, era una ’holding’ delle vecchie società parrocchiali. Invece qui siamo al campanile puro: Loreto.

"Loreto è storica, non ha mai cessato l’attività. Si sta avvicinando ora al discorso neoprofessionismo".

C’è in atto, forse, la rivincita del basket nato in oratorio. Che ne dice, su questa scia, potrebbe rinascere una Delfino?

"C’è un settore giovanile. Ed è già tanta roba. Era nata anche una squadretta che aveva giocato nelle serie più basse. Indipendentemente da questo, ora l’aria che si respira è bella. Ed è quella di quando ci si divertiva". Romanticismo?

"Ma no, verità. Non c’erano giocatori di fuori. Erano tutti pesaresi. E oggi l’aria è buona. Non so se c’è spazio per due, tre squadre. Qualcuno parlava di una sola, ma mettere le parrocchie d’accordo è difficile".

Parrocchie, esatto. Ma cos’avevano di speciale?

"Chiamavano noi, della Delfino, Biancaneve e i sette nani. Dopo ogni allenamento si andava a cena e poi in vacanza con le morose. Eravamo un’armata Brancaleone. Pane, basket e amicizia".

Cosa manca al nostro professionismo?

"Proprio le parrocchie. Che diedero un sacco di atleti alle società. Poi mancano i pesaresi. L’urgenza dello sponsor e di vincere brucia i giovani. E, inutile girarci attorno, mancano anche i soldi".

Se oggi sedesse in panca, cosa direbbe al Loreto?

"In panca c’è Foglietti, grande coach. ll suo clichè è non mollare mai".

Che significato ha questa finale? Rivincita delle batoste in A?

"Più che altro è un ricompattamento del pubblico deluso di Pesaro".