CECILIA
Cronaca

Bruno d’Arcevia, è lui il pittore degli dei

Fano, prosegue fino al 17 ottobre la mostra a Palazzo Bracci Pagani (ore 17,30-19,30). E oggi il Maestro dialogherà con il pubblico

Cecilia

Casadei

La genialità e la bellezza, Il talento e la storia, la tecnica e la memoria, la visionarietà e l’intelletto. La grandiosità e la sorpresa, la forza e il mistero, l’arte e il prodigio, il mito e il sogno, l‘incanto e la meraviglia. Questo raccoglie chi entra a Palazzo Bracci Pagani per visitare “Le stanze della magìa“, e pare di assistere ad un magnifico sortilegio.

Le opere di Bruno d’Arcevia, classe 1946, maestro del ‘900, la sua pittura come pilastro di una cattedrale dell’arte. Il suo cognome come omaggio al paese d’ origine, un fare arte nel nome del ritorno alla pittura dopo i fiumi di concettualismo, di minimalismo e di provocazioni che hanno attraversato il secolo scorso. L’audacia di un artista che segue il suo istinto creativo, celebra la figurazione, adotta uno stile che si rifà ad una pittura di maniera nell’ottica di un propugnato Neomanierismo, finalizzato a recuperare l’arte del Rinascimento. I ritratti di grandi personaggi, le mostre americane nel suo viaggio dell’arte. Un percorso che vive nella dimensione della storia cancellando il respiro del tempo per lasciare posto ad un presente continuo.

Bruno fissa sulla tela idee, pensieri, ricordi: "dipingo quello che ho nella memoria, le sue parole dal video di Giovanni Lani e Solidea Vitali Rosati che accompagna la mostra. Dipinti intrisi di caratteri allegorici e simbolici, visioni affidate alla tela per lasciarle libere di esistere come luminosa scintilla di un universo estetico. L’audacia di un artista raffinato, di un narratore intellettuale, interprete di una tematica multiforme, creatore di uno stile che esplode in un ritmo vorticoso come in un crescendo rossiniano. Le opere abitano lo spazio della galleria in un percorso espositivo suddiviso in “stanze“, come dimora tematica che accoglie l’arte e il suo messaggio. Trionfo pittorico dell’autore che ha dipinto l’affresco del catino absidale della nuova cattedrale di Noto, il bozzetto in esposizione. Arte che nutre una poetica trasversale, matrice di immagini esuberanti che affondano le radici nel mito. Quando nella “Stanza dei miti“ incontriamo corpi dalle forme generose che si legano ad elementi della natura, sfondi paesaggistici, tra luce e crepuscolo, che concertano con le figure. Dipinti che traboccano di colore, squarci di luce, intensi cromatismi che nutrono lo sguardo e danno vita ad un contesto teatrale in cui i personaggi vivono come eroi ed eroine.

Una dinamica scenografia di inesauribile potenza accompagna tutto il percorso delle “stanze“ e diviene testimonianza di una straordinaria esperienza visiva e mentale, di uno sguardo colto e profondo. Bruno, con l’inseparabile sigaretta tra le mani, un gigante che conserva lo stupore di un fanciullo di fronte alla bellezza che ha introiettato. Le ali piumate di molte sue opere, a consacrare la trasversale idealità dell’umano, immaginazione e spiritualità, diventano “ali di bellezza“ sulla schiena di un angelo. Il primo incontro è con “la caduta di Fetonte“, il figlio di Apollo che precipita dopo aver perduto il controllo del Carro del Sole, un’opera di eccezionali dimensioni e grande efficacia espressiva dove ii cavalli sembrano sul punto di travolgere chi guarda. Potenza dell’arte che rimanda a Rubens, a Guido Reni. Nella “Stanza dell’amore“ trionfano corpi nudi in una cornice di calde cromie e un alone di leggiadra dove gli animali sono dipinti in perfetta fusione con la scena.

La “Stanza dei ritratti“ ci riporta ad una quiete solo apparente e lo sguardo trasognato di un Carlo Bruscia, storico conoscitore dell’opera di Bruno e appassionato curatore della mostra, è ritratto nelle vesti sontuose di un nobile d’altri tempi. Una sontuosità che avvolge Luigi e Antonella nell’opera che li vede con le mani intrecciate in segno di unione. Un autoritratto dell’artista esplode nella magnificenza di un ritmo sinuoso tra le piume rosate di una Araba Fenice. Nella “Stanza della memoria“ torna la complessità dei riferimenti della storia e quella dimensione onirica che riunisce passato e presente quando il dipinto intitolato “Lepanto“ ci riporta ad un memorabile scontro navale.

La suggestione di un’opera grandiosa ci consegna una “Erminia in fra le ombrose piante“, figura senza veli che indossa calzari d’oro e si impone alla vista con la prepotenza seducente del suo corpo. Poi, un omaggio al Carnevale di Fano e disegni, acqueforti, acquetinte, carboncini dal tratto vibrante. Conclude la narrazione la “Stanza dell’anima“ con una serie di dolcissime Madonne col Bambino, e una “Cena in Emmaus“, evidenzia, dopo Caravaggio, Tiziano, Pontorno, l’incredulità dei discepoli di fronte all’ apparizione del Cristo. E tutto è riconducibile alla forza creatrice di un artista che porta con sé tutti i “luoghi“ che ha visitato, "ha fatto esperienze di più sensazioni di tutte le sensazioni che ha sentito".