di Elisabetta Ferri
Giorgia, come si spiega lo straordinario successo di ’Ancora volano le farfalle’?
"Credo che questo film tocchi diverse corde degli spettatori, innanzitutto quella dei sogni. Spesso ci blocchiamo davanti a un nostro desiderio, sia per paura di non riuscire a realizzarlo che per timore di metterci a nudo di fronte ai giudizi altrui. Vedendo nel film Giorgia che lotta duramente per il suo sogno di diventare istruttrice di nuoto, si espone e se ne frega delle possibilità di non farcela, gli spettatori si ritrovano nei sogni che non hanno inseguito nella loro vita. Anche il lato della disabilità ha un effetto. Quando Giorgia nel film si arrabbia e dice: ‘se la società non cambierà mai idea sul fatto che chi è in carrozzina può vivere una vita normalissima, non cambierà mai nulla’. E questo è importantissimo perché tutti abbiamo dei pregiudizi verso chi è diverso da noi, quindi lo ritengo uno degli aspetti più influenti di questo film che si rivolge sia alle istituzioni che ai cittadini e tocca l’animo di tutti".
Quale il messaggio primario?
"Che i sogni sono la cosa più importante. Non importa quali siano le difficoltà, dobbiamo comunque andare avanti, lottare senza arrenderci. Poi, che il sogno si realizzi oppure no è altra faccenda. Riconosco che serve anche avere una fantastica rete di familiari e amici, a volte serve anche tanta fortuna e le conoscenze giuste per arrivare all’obiettivo però provarci ci mette sulla buona strada, quindi non dobbiamo mai bloccarci anche se gli ostacoli sembrano insormontabili, ma un mattoncino alla volta possiamo scalfirli".
Dove trova tutta questa forza?
"In primis dai miei sogni, che mi danno l’energia di continuare a vivere, nella speranza che si realizzeranno. In questo caso, assistere ogni sera alla standing-ovation di una sala gremita mi dà un sacco di forza per proseguire nei miei progetti futuri. Un altro dispensatore di energia è la rete di persone attorno a me, che si parli di famiglia stretta, amici, semplici conoscenti, persone con cui mi interfaccio regolarmente come professori, terapisti, medici. Mi sento all’interno di un circuito in cui l’amore che do mi viene restituito".
Quando ha ricevuto la diagnosi della tua patologia che reazione hai avuto?
"Avevo 9 anni e naturalmente a quell’età non ho ben capito come poi sarebbero procedute le cose. Il medico e la mia famiglia mi hanno detto che avevo un problema ai muscoli che mi ostacolava in tutti i movimenti, però non sapevo quale sarebbe stato il decorso della malattia, continuativo e peggiorativo nel tempo. Partendo con una concezione della malattia così leggera, sono riuscita a prenderla nel modo giusto. Anzi, all’inizio è stato quasi un sollievo, mi son detta: ‘ok ho una malattia, quindi vuol dire che non sono strana’. Perché a ginnastica i miei compagni mi vedevano camminare male, correre lentamente o cadere e mi dicevano ‘cammini come una papera’; ma dopo la diagnosi tutti quanti hanno iniziato a portarmi lo zaino, a spingere la carrozzina, le bidelle mi aiutavano ad uscire prima per evitare la ressa, insomma siamo diventati una vera squadra. Problemi di bullismo a livello verbale li ho ritrovati alle superiori ma lì ha pesato anche l’adolescenza, con le difficoltà a stare con me stessa a livello interiore, questo influiva su come gli altri mi percepivano, facendomi sentire esclusa e denigrata".
Che progetti ha per il futuro?
"Mi piacerebbe entrare nel campo televisivo, dove la disabilità non è quasi per nulla rappresentata: basterebbe un piccolo spazio in un programma che ci dia visibilità, così da non far percepire più come strana una persona in carrozzina, o che parla in modo diverso. Poi mi piacerebbe entrare in una commissione nazionale per l’accessibilità: da tempo collaboro con il Comune di Pesaro, dando le mie idee e osservazioni su questo tema, ma mi piacerebbe farlo anche a livello nazionale. Le cose da cambiare per una persona in carrozzina sono tantissime: non immaginate nemmeno come possa essere complicato per un disabile anche solo prenotare un hotel o andare al ristorante".
Quanto conta la sua famiglia?
"E’ fondamentale nella percezione della mia autostima. Il mio condominio, come lo chiamo io, formato dai miei genitori, mio fratello e mia cognata, mia cugina e suo marito è sempre unito, qualsiasi cosa succeda, brutta o bella. Li ringrazio infinitamente perché ci sono sempre e la loro partecipazione mi fa sentire i miei sogni come raggiungibili. Purtroppo conosco altre persone nella mia stessa condizione che si sono completamente perse senza la presenza di una rete che li sostiene".
Parte degli incassi del film saranno devoluti alla ricerca.
"Sì, ci tenevo a far conoscere l’atassia di Fredreich, una patologia rara. Spero che venga presto riconosciuta da tutti, così da poter avere un incentivo per la ricerca, che non viene sostenuta affatto dalle istituzioni nazionali. E’ lì che voglio arrivare".