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A Sant’Angelo il tartufo ha il profumo del tempo

Il cuoco Bruno Barbieri riceverà il prestigioso premio: "Lo dedico a mio nonno che smise di cavare bianchi pregiati quando il suo cane morì avvelenato".

A Sant’Angelo il tartufo ha il profumo del tempo

C’è del buono a Sant’Angelo in Vado in questi giorni di fiera del tartufo bianco pregiato. C’è la corte gastronomica di Marco Vegliò che il venerdì sera cucina piatti a base di pesce e tartufo, mentre il sabato e la domenica sia a pranzo che a cena serve i grandi classici: "I miei nonni sono di Urbania e il tartufo mi appartiene e lo cucino anche al Galeone di Fano durante l’anno", dice. C’è poi il sindaco Stefano Parri che ricorda come il tartufo vada mangiato e non custodito, "altrimenti si rischia di fare la fine di mio zio che ne aveva riposti otto chili in frigo in vista del Natale per farci un bel guadagno , salvo poi essere costretto a svenderli perché il prezzo anziché salire calava". E c’è anche il grande cuoco Bruno Barbieri che riceverà il "Tartufo d’oro" e che se potesse lo farebbe a fette per condividerlo con un paio di persone: "Mio nonno – dice –, signore dei boschi che solcava giorno e notte, a volte dormendoci, per cercare tartufi e ne trovava tanti e di bella pezzatura. E il suo cane meraviglioso che era come una persona. Ho un rapporto fin da bambino con il tartufo che a casa mia non mancava mai, e parlo del bianco pregiato. Mio nonno lo trovava, mia mamma e mio zio lo vendevano a Bologna, “impestando“ la corriera, all’alba del commercio di questo straordinario prodotto. Sono cresciuto a tagliatelle e tartufo bianco pregiato dall’età di quattro anni, mia nonna lo conservava nel pagliaio su un letto di sabbia. Il tartufo era di casa da noi". Merito "del cane eccezionale di mio nonno. Si chiamava Moschina, una bastardina bianca e nera, pezzata, meravigliosa, a cui la mia famiglia, la cui casa esplodeva di profumo di tartufo, deve la sua fortuna. Era sempre al fianco di mio nonno, una cosa sola anche nella cerca che facevano di nascosto, senza farsi vedere da alcuno e ricoprendo di terra il buco scavato dopo avere prelevato il tartufo; in quel punto l’anno dopo ne sarebbe cresciuto un altro. Mio nonno aveva una mappa del tartufo in Appennino e cavava palle anche di mezzo chilo. Smise di fare il tartufaio quando gli avvelenarono il cane, probabilmente qualcuno che era geloso della sua bravura. Fu come perdere un figlio per lui, un dolore per tutti noi. Il premio è dedicato a mio nonno e al suo cane, sono le due perone che mi hanno fatto capire che questo è un prodotto che la natura ci ha donato, che va amato e che ci può regalare momenti di felicità".

Davide Eusebi